“Mes, perché no?”. I primi dubbi si fanno spazio anche nella Lega
Il margine insomma è stretto. Ma ciò non toglie che nella Lega si discuta. Gli anti-europeisti restano convinti che la trappola sia dietro l’angolo in quanto l’assenza di condizionalità sulla ‘Pandemic crisis support’ non è stata decisa con una modifica dei Trattati, bensì da una lettera dei Commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni, fatta propria dall’Eurogruppo. Del resto, l’approccio anti-Bruxelles finora ha portato bene alla Lega di Salvini. Ma la pandemia ha cambiato il quadro soprattutto al nord, dove la Lega è in prima linea sull’emergenza, con i suoi amministratori più vicini alle necessità pratiche che alle diatribe ideologiche.
Qualche giorno fa, il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha provato a dirlo a Skytg24: “Senza condizioni, nessuno si può lamentare se vengono date delle risorse”. Dichiarazione non perfettamente in linea con la posizione ufficiale della Lega. Fontana non ne ha più riparlato. Il suo collega veneto Luca Zaia si mantiene lontano dalle polemiche. “Questa è una partita del governo”, dice quando glielo chiedono nelle sue conferenze stampa quotidiane in Regione. Ma non si espone sul ‘no secco’, anzi esprime dubbi: “Sembra di capire che ci siano condizionalità e vincoli. Ho letto che ci sarà una discussione in Parlamento, quindi capiremo un po di più”.
Quanto meno i governatori vorrebbero capirne di più e certamente privilegiare le ragioni pratiche di chi governa un territorio. Ma la questione del Mes è molto di più per la Lega. Va oltre il confronto tra la parte ideologica e quella più pragmatica e pone il partito ancora una volta di fronte alla scelta tra la lotta e l’ambizione di governo, la protesta anti-europeista che porta voti e la necessità di accreditarsi come forza politica in grado di governare – un domani – uno dei paesi fondatori dell’Ue, tra i più grandi dell’Unione.
È l’eterno dibattito interno, animato da quando Salvini ha dichiarato finita l’esperienza di governo con i M5s, portando il partito fuori dalle ‘stanze dei bottoni’ in Italia e, prima ancora, in Ue, quando a luglio, con una decisione molto travagliata, i leghisti votarono no alla nomina di Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea.
È possibile che nemmeno stavolta sul Mes prevalga la parte meno impulsiva della Lega. La stessa leadership di Salvini ne soffrirebbe, perché vincerebbe la linea dei governatori, anche di Zaia che, stando ai sondaggi, farebbe meglio del leader nazionale in questo periodo di emergenza covid, Zaia che non a caso è sempre attento a bloccare qualunque speculazione che lo metta in competizione con il segretario. Ma è evidente che la pandemia ha aperto qualche problema nel Carroccio, partito dal nord diventato forza nazionale con Salvini e con la ricetta sovranista. Ancora una volta un bivio, ancor più complicato dalla concorrenza a destra di Giorgia Meloni.
L’HUFFPOST
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