Silvia Romano, l’Italia paga l’incoscienza delle Ong
di MASSIMO DONELLI
Siamo tutti felici che Silvia Romano,
25 anni, milanese, sia tornata a casa dopo 536 giorni di prigionia tra
Kenya e Somalia. Un lieto fine che, tra l’altro, permette di trarre
qualche utile insegnamento. Aisha
(così si chiama Silvia dopo essersi convertita alla religione islamica)
non è, infatti, la prima volontaria di una Organizzazione non
governativa (Ong) che viene sequestrata.
Ricordate Simona Torretta, romana, e Simona Pari, riminese, entrambe 29 anni, rapite il 28 agosto 2004 a Bagdad e liberate dopo un mese? Prigionia più breve, ma stessa storia.
Ovvero ragazze che, senza formazione e senza protezione,
vengono inviate in territori ad alto rischio per attività non proprio
imprescindibili: intrattenere bambini e bambine (una sorta di oratorio
estivo).
Nobiltà d’animo e massimo rispetto, per carità. Ma, va detto, anche incoscienza da parte delle fanciulle e sottovalutazione del rischio da parte delle Ong. Con conseguenze, letteralmente, disastrose. Simili avventure, infatti, si traducono, prima di tutto, in danno ai contribuenti: “Per liberare un ostaggio italiano a certe latitudini o si paga o si spara”, ha scritto Fausto Biloslavo, che da trent’anni fa il corrispondente di guerra. L’Italia non spara. Paga. Stavolta, almeno quattro milioni di euro. Finiti ad Al Shabaab, succursale somala di Al Qaeda che tratta donne e bambini come carne da macello; e, ora, con quel gruzzolo ne combinerà di ogni.
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