Il decreto c’è, il rilancio meno
Le famiglie aiutate solo con congedi e voucher. Il cortocircuito con le scuole chiuse rimasto irrisolto
Il pacchetto è una riproposizione di quello già previsto a marzo: altri 15 giorni di congedi parentali al 50% dello stipendio, fruibili però solo fino al 31 luglio, e i voucher per pagare la baby sitter che salgono a 1.200 euro. L’unica aggiunta sono 150 milioni per potenziare i centri estivi. È sfumato l’assegno per i figli, cioè soldi freschi da mettere nelle tasche delle famiglie. E non ci sono interventi che vanno nella direzione di risolvere, o quantomeno di intercettare, la peculiarità che il Covid ha portato nelle famiglie: l’aggravarsi delle difficoltà di conciliare la vita in casa e quella fuori. Le scuole sono chiuse e quindi i figli a casa. Lo smart working, che diventa un diritto fino a fine anno, si rivela una necessità per coprire quello che non c’è e cioè un sostegno adeguato. E tra l’altro questo diritto decade se anche l’altro genitore non lavora. Quindi un genitore solo in smart working e con i figli a casa. L’offerta fuori è ancora da confezionare.
La proroga della cassa integrazione e dei bonus. La rete di protezione imprescindibile per il lavoro è a tempo: basterà?
Il lockdown, la ripresa a fatica di molte attività con le nuove regole del distanziamento sociale. Il lavoro è il grande acciaccato perché è il bersaglio più colpito dall’emergenza. E così il decreto deve lasciare una grandissima fetta (circa 15 miliardi) dei 55 miliardi totali al rifinanziamento della cassa integrazione per i lavoratori dipendenti e dei bonus per i lavoratori autonomi. Diversamente non si può fare perché dal Cura Italia a oggi sono più di dieci milioni i lavoratori dipendenti che hanno chiesto la cassa integrazione e 5 milioni quelli che hanno fatto richiesta del bonus.
Non senza affanno, il Governo è riuscito ad allungare la cassa integrazione per altre nove settimane, anche se sarà spacchettata: 14 settimane per il periodo tra febbraio e agosto, quattro tra settembre e ottobre. Questa suddivisione mette in luce come la protezione si farà meno forte dopo l’estate. E qui si apre una questione: le imprese avranno la forza di risollevarsi in così poco tempo e di sostenersi con appena un mese di cassa integrazione, tra l’altro fino a ottobre? E dopo ottobre? Anche lo stop ai licenziamenti per altri tre mesi si scontrerà con la questione appena evidenziata. I rischi, invece, si affacceranno a fine anno, quando non ci sarà più la coperta che ripara. Si chiamano chiusure, quindi licenziamenti, e delocalizzazioni. Un’eccezione parziale è costituita dagli aiuti, sotto forma di sovvenzioni, che gli Enti locali potranno dare alle imprese per pagare gli stipendi dei lavoratori ed evitare i licenziamenti. La durata della sovvenzione è di un anno, ma le risorse vanno prese dalle casse degli stessi Enti, che a loro volta lamentano l’insufficienza dei soldi stanziati per loro dal decreto.
Il bonus per le partite Iva e per gli autonomi, invece, sarà rafforzato rispetto a quello di marzo: salirà a 800 euro per aprile e a mille euro a maggio, ma questa seconda mensilità sarà legata a una perdita dei ricavi a marzo-aprile pari ad almeno il 33% rispetto al secondo bimestre dello scorso anno. Qui la questione è capire se la selettività – voluta dal Governo per evitare che gli aiuti andassero anche a chi non ne ha bisogno – riuscirà a bilanciarsi con un aumento del bonus. In poche parole: più soldi, ma a una platea selezionata è la soluzione più idonea? Si ripropone anche qui il rischio di prima e cioè di ritrovarsi scoperti e allo stesso tempo non ancora pronti per ripartire.
Il reddito di emergenza nuovo tassello di una strategia assistenzialista
Un sostegno, in due quote, ciascuna di 400 euro, che salgono fino a 800 euro per i nuclei familiari numerosi. Il reddito di emergenza è una new entry e puntella un intervento per le famiglie più in difficoltà, con un Isee inferiore ai 15mila euro. È un altro tassello di una strategia puramente assistenzialista, il secondo tempo del reddito di cittadinanza. Insieme ai buoni per la spesa, erogati una sola volta, rappresenta il sostegno per i già poveri e per i nuovi poveri, quelli causati dal virus. Copre quello che è venuto a mancare, le spese imprescindibili, ma non genera potere d’acquisto e non fa ripartire i consumi.
Finalmente i soldi a fondo perduto, sulle tasse un primo segnale. Ma alle imprese serve di più
Il decreto Rilancio sana un vulnus che si era aperto con il Cura Italia e con il decreto sulla liquidità, che non hanno messo in campo soldi freschi. Arrivano dieci miliardi di soldi a fondo perduto sotto forma di soldi freschi e sconti su affitti e bollette per tutte le micro-imprese e quelle piccole fino a 5 milioni di fatturato. Per tutte quelle fino a un fatturato di 250 milioni, e per tutti i lavoratori autonomi con lo stesso volume di compensi, c’è il taglio dell’Irap, l’imposta sulle attività produttive che non sarà dovuta a giugno. Significa 4 miliardi di tasse in meno per le imprese. Per le big, quelle sopra i 250 milioni di fatturato, arriva il sostegno della Cassa depositi e prestiti sotto forma di strumenti a metà tra prestiti e ingresso dello Stato a tempo.
La virata last minute, da una strategia puntata sull’interventismo dello Stato al taglio delle tasse, è un segnale importante per le imprese. La grande accusa di Confindustria di aver messo in campo fino ad ora solamente prestiti, tra l’altro ingarbugliati in procedure lente, è caduta. Ma il gap con quello che serve e che chiedono le imprese resta. Basta mettere dall’altra parte della bilancia l’agenda che le imprese hanno presentato al Governo in occasione dell’ultimo incontro. Ancora meno tasse, anticipi di liquidità, prestiti più lunghi. E soprattutto sblocco dei cantieri, sospensione del Codice degli appalti, più autocertificazioni per meno burocrazia, semplificazioni.
Turismo, un sostegno da verificare per una crisi del settore senza precedenti
Alberghi e strutture ricettive rimaste chiuse per intere settimane, l’estate con il distanziamento sociale in spiaggia, i viaggi dentro l’Italia che ancora sono negati dal divieto alla mobilità interregionale, quelli da e per l’estero appesi a mille incognite. Tutto questo travolge il turismo, il petrolio dell’economia italiana. Vale il 13% del Pil, oltre 40 miliardi nel 2019. L’evoluzione delle scelte dell’ultim’ora, con i soldi che sono diminuiti, è lì a dimostrare che l’impegno va verificato. Il Fondo per il turismo avrà una dotazione di 50 milioni. Era di 200 milioni due giorni fa.
Gli operatori del settore ritengono insufficienti la portata dei contributi per le spese di sanificazione degli ambienti e degli adeguamenti degli spazi. E gli stessi operatori, oltre che una parte stessa del Governo, non sono convinti della validità della misura principe, il bonus vacanze fino a 500 euro ma solo per le famiglie con un Isee fino a 40mila euro e sotto forma di tax credit. Chi il turismo lo fa ogni giorno dice che avrebbe preferito altro e cioè liquidità, oltre che regole diverse rispetto a quelle linee guida dell’Inail che appaiono a molti come troppo restrittive. Una risposta importante è data dall’abolizione del versamento della prima rata dell’Imu in scadenza il 16 giugno, ma in generale il sostegno al turismo è da verificare. Previsto anche un Fondo per la promozione del turismo con una dotazione di 20 milioni. E ci sono cento milioni per ristorare, in modo parziale, i Comuni che hanno avuto minori entrate dalla tassa di soggiorno. Stop anche alla tassa per i tavolini all’aperto.
Sanità, mai così tante risorse. La prova che l’emergenza fagocita ancora
Un maxi stanziamento da 3,25 miliardi per gli ospedali Covid, ma anche per l’assistenza territoriale e per aumentare i posti in terapia intensiva. Una cifra imponente, più di quanto è stato stanziato negli ultimi tre anni dalle manovre economiche. Nello specifico, circa 1,5 miliardi andrà agli ospedali pubblici e altrettanti per l’assistenza sul territorio, ma anche per l’assunzione di 9.600 infermieri e per l’aumento del 115% dei posti in terapia intensiva e semintensiva. Ci saranno poi otto infermieri di continuità ogni 50mila abitanti. La varietà degli interventi mette in evidenza come il dopo dell’emergenza sanitaria richiede un impegno imponente. Non è un caso se le prime norme del decreto sono riservate proprio alla sanità.
L’HUFFPOST
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