Prigionieri e fragili
Destra che, nel suo insieme, raggiunge percentuali in Europa seconde solo a quelle di Orban. E si capisce perché Salvini, dal suo punto di vista cui non è estraneo il “tanto peggio” non abbia alcun interesse a farsi carico del paese aspettando, quando sarà, il logoramento del governo, in questa dinamica in cui la parola voto è stata sdoganata proprio da chi governa. Altro unicum, molto italico perché normalmente chi governa mira al coinvolgimento delle opposizioni, non per bon ton, quanto per corresponsabilizzare di fronte a scelte anche impopolari.
Ed è difficile, come sanno anche i cantori del voto, che un Parlamento ingolfato dai provvedimenti di emergenza e dal Vietnam annunciato sul decretone, ci possa essere il tempo, la determinazione, la lucidità per varare una legge proporzionale. Ecco, il meccanismo prevede che si andrà avanti così, senza alternativa, in una coabitazione che riproduce, nel “Conte 2” la stessa tensione del “Conte 1”: sembra sempre sul punto di cadere ma non cade, con l’ulteriore elemento di fragilità di un Movimento che, nel momento più critico della sua debolezza interna risale nei sondaggi. È un elemento non banale perché, come dice il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, “non si capisce se si è rotto il rapporto dei Cinque stelle con Conte o se si sono rotti i Cinque stelle”. È cioè innescata una sorta di spirale per cui più è fragile il rapporto col paese, più il compromesso, come quello sui migranti, appare l’unico modo per tenere assieme i pezzi, più arriva al parossismo la logica da Grande Fratello, che sulla vicenda di Silvia Romano ha prodotto una puntata memorabile ambientata a Ciampino, con un franco successo sul terreno della sicurezza e dalla vita umana trasformato nella debacle comunicativa di una conferenza stampa dove una donna rapita per 18 mesi viene esposta ai giornalisti, nell’ambito di una competizione tutta mediatica tra il premier e il ministro degli Esteri.
È chiaro che questo piano inclinato, in assenza di una iniziativa, rischia di portare al collasso, di cui in parecchi vedono già i prodromi: “Il governo – è l’analisi di Giorgetti – è prigioniero delle proprie debolezze, il paese è prigioniero del governo. Suonerà il campanello per tutti. Chi andrà a chiedere un altro sforamento dopo un uso scriteriato di questo?”. Come spesso accade a maggio l’orologio della crisi viene riposizionato su ottobre, quando si capirà come reagisce la Bce alla richiesta della Corte di Karlsruhe, se cioè ci sarà un disimpegno sul debito italiano, e quando si misurerà la reazione dei mercati alle manovre in deficit, esaurite le munizioni dei finanziamenti a pioggia.
La politica, dicevamo, per ora ha trasferito il lockdown su di sé, ma in questa capitolazione, c’è un dato rilevante per il dopo: se apparirà il cigno nero, ciò che oggi potrebbe essere una scelta della politica, dopo sarà una scelta “contro” il sistema politico, che nasce sulle sue macerie. Dal default, appunto.
L’HUFFPOST
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