È morto Ezio Bosso, il pianista che sapeva commuovere. Aveva 48 anni

E da contrabassista suona in importanti formazioni, tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado. Con il maestro milanese Ezio instaura un legame non solo artistico ma di amicizia. Dopo la morte di Abbado, nel 2017 sarà Ezio a farsi testimonial dell’eredità della sua ultima creatura, l’Associazione Mozart14, nata a Bologna per portare la musica nei luoghi del dolore, nelle carceri, negli ospedali. Il percorso nella malattia di Claudio sarà per Ezio un esempio di resistenza e di rinnovato impegno in una musica che, come amava ripetere, «è la vera terapia».

Il suo calvario inizia nel 2011, prima una grave neoplasia, poi la malattia neurodegenerativa che in breve lo porterà sulla sedia a rotelle. Ma segna anche la sua rinascita come artista. Alla sua attività di pianista alterna quella di direttore d’orchestra, alla guida dell’organico della Fenice di Venezia, del Comunale di Bologna. Infine crea il suo gruppo di musicisti, la StradivariFestival Chamber Orchestra, poi ribattezzata Europe Philharmonic. Lo scorso settembre aveva dovuto dire addio al pianoforte, le sue dita non rispondevano più bene, i dolori a forzarle sui tasti si erano fatti insopportabili.

Niente più piano ma avanti con la sua orchestra, la Europe Philharmonic, con cui lo scorso gennaio aveva tenuto le ultime trionfali serate all’insegna di Beethoven e Strauss al Conservatorio di Milano per la Società dei Concerti. Il fisico già molto provato, eppure indomito. Appena veniva issato dalla sua carrozzina al predellino del direttore, Bosso si trasformava. Alzava la bacchetta e accendeva la musica dando davvero tutto se stesso. Assistere a un suo concerto, a una sua prova era un’esperienza bellissima perché ci si rendeva conto di quanto amore lui trasmettesse ai suoi musicisti, senza concedersi pause, senza mai accontentarsi, senza smettere anche quando era chiaramente esausto. Ezio era vivo perché faceva musica.

La quarantena imposta dal virus gli è stata fatale. Ancora una volta ha cercato di reagire, si è impegnato in uno studio matto e disperatissimo delle partiture, si è appassionato alla lettura di libri di storia. Ma la linfa per lui salvifica, il fare musica insieme con gli altri e per gli altri, non c’era più. «I miei orchestrali sono i miei fratelli, i miei figli – aveva detto nell’ultima intervista al Corriere-. Ci sentiamo moltissimo ma non è lo stesso». Si preoccupava per il loro futuro: «Alcuni stanno vivendo un periodo di grande sofferenza, non possono più suonare, non hanno più un reddito». Era triste Ezio, ma non smetteva di pensare al futuro. Aveva in mente molti progetti, stava pensando a nuovi modi di fare musica nel rispetto delle distanze. La voglia più grande era sentire il calore di un abbraccio. Abbracciare gli amici, i suoi musicisti. Magari un albero. Sentire la forza di un affetto che passa da un essere vivente all’altro tramite le braccia. Anche quando sono esili e dolenti come le sue.

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