Braccia sfruttate all’agricoltura: così il caporalato controlla la filiera alimentare
di Stefano Liberti – foto di Alessandro Serranò
Promosso per garantire braccia a un’agricoltura in sofferenza in seguito al mancato arrivo degli stagionali rimasti bloccati nell’Est Europa, il provvedimento di regolarizzazione degli immigrati approvato dal governo potrebbe essere un’occasione storica per voltare una pagina buia: quella del lavoro agricolo sottopagato, sfruttato e macchiato a volte dalla piaga del caporalato. Difficilmente però la semplice distribuzione di permessi di soggiorno riuscirà da sola a modificare alcuni aspetti diventati negli ultimi anni strutturali al funzionamento dell’intero comparto, come la scarsa remunerazione dei braccianti.
Il lavoro agricolo nel nostro paese è sempre più spesso svolto da stranieri. Secondo uno studio del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), dal 1989 a oggi il numero di cittadini italiani impiegati in agricoltura è diminuito di due terzi, mentre quello degli stranieri è aumentato di quindici volte. In alcuni distretti produttivi, anche di primaria importanza come quello delle mele in Trentino o quello del Parmigiano Reggiano, questi costituiscono più del 50 per cento della forza lavoro. Secondo i dati della Coldiretti, è possibile contare nei campi, nelle stalle, nelle serre del nostro paese 155 nazionalità diverse. È un esercito di lavoratori, che vengono ogni anno dai paesi più vicini – o che vivono stabilmente sul nostro territorio e a volte si spostano a seconda delle esigenze delle raccolte stagionali. Queste donne e questi uomini svolgono un lavoro essenziale, a fronte spesso di paghe basse e condizioni più che disagevoli.
Nell’ottobre 2016, il Parlamento ha approvato la legge anti-caporalato, fortemente voluta dall’allora ministro dell’agricoltura Maurizio Martina e da quello della giustizia Andrea Orlando. Prevedendo pesanti sanzioni per quegli imprenditori che facevano ricorso all’intermediazione illecita, ha cercato così di aggredire un fenomeno diffuso e vergognoso, il cui solo sospetto aleggiava come un marchio d’infamia sulle produzioni d’eccellenza del made in Italy. Gli effetti sono stati importanti, ma non definitivi.
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