Strategia Amazon: ecco come si elimina la concorrenza
Il business infatti è in perdita: nel quarto trimestre 2019 ci ha rimesso 560 milioni. Il conto arriva dal Black Friday, l’ultimo venerdì di novembre, quando tutti i negozi propongono super sconti per incentivare lo shopping natalizio. Li applica anche Amazon. In quel giorno le richieste dei clienti esplodono e con loro il costo della logistica: consegnare tutto in 24 ore impone uno stress sulle spedizioni non sostenibile economicamente, ma consente alla piattaforma di uccidere la concorrenza. Poi sono arrivati i due mesi di pandemia, e rispettare l’impegno con gli abbonati mentre tutti comprano, è diventato inaffrontabile. Non ce la faceva più a gestire le richieste con gli autisti e i corrieri espresso, perciò ha introdotto un criterio di priorità: prima gli alimentari, poi il resto. Ha cambiato la sua interfaccia per scoraggiare chiunque ad aggiungere altri prodotti al carrello. Ha azzerato le campagne promozionali su Google. E sospeso il programma che consente ai rivenditori di servirsi della sua rete distributiva dopo il pagamento di una commissione.
Fine dei prezzi bassi con il monopolio
I debiti non sono un problema: visti gli immensi flussi di cassa, le banche fanno la gara a darle i soldi. E adesso pian piano sta alzando le tariffe: l’abbonamento che in Italia nel 2015 costava 20 euro, oggi costa 36. Quando avrà azzerato concorrenti e fornitori potrà decidere lei il prezzo di milioni di prodotti: dal televisore fino allo spazzolino da denti. Il mercato – che fiuta la direzione prima degli altri – ha già deciso che avrà il monopolio. A maggio 2015 il titolo quotato meno di 500 dollari per azione, a febbraio di quest’anno – pre lockdown in Europa e Stati Uniti – valeva 1700 dollari. Ora veleggia attorno a 2400. Un bel colpo per gli azionisti.
Come ha fatto ad espandersi
È diventata grande sfruttando la fiscalità agevolata di Paesi come il Lussemburgo dell’ex presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, al pari di altri colossi tech che vivono di servizi digitali e quindi transfrontalieri. Grazie a regole che consentono al mercato online di fare i saldi sempre, mentre ai negozi è consentito solo in alcuni periodi dell’anno. E grazie a finanziamenti pubblici agevolati – tra sgravi e minori oneri di urbanizzazione – per costruire centri di logistica. Marco Gambaro, professore associato di Economia applicata, all’università di Milano, li stima al 17% dei profitti complessivi negli Stati Uniti, cioè 760 milioni di dollari. In Europa nessuno ha fatto questo genere di stima, ma sappiamo quanto gli enti locali corteggino il colosso di Seattle.
Quanta occupazione porta
Negli ultimi 10 anni in Europa, solo nell’elettronica, tra negozi e punti vendita, sono scomparsi 200 mila posti. Lo rileva Eucer, l’associazione delle insegne di largo consumo tra cui Trony, Mediaworld, Unieuro ed Euronics. Dice il presidente Hans Carpels che «solo una parte di essi è stata riassorbita, e almeno 150mila sono rimasti disoccupati». Il dato disaggregato per l’Italia non è disponibile, sappiamo però che Amazon ha 7.000 dipendenti e la società dichiara di creare nell’indotto una occupazione di 30.000 posti.
Nel 2019, sempre in Italia e solo sul mercato dell’elettronica, ha intermediato un valore per 1,8 miliardi, il 75% della torta complessiva. Il secondo operatore di e-commerce è la tedesca Zalando che pesa cinque volte meno. Nel nostro Paese sta reggendo solo Unieuro che sta rilevando punti vendita di catene finite in concordato. La ricaduta è sul minor gettito Irpef e Iva perché chi perde il lavoro consuma anche meno.
Quanto paga di tasse
Quanto paga Amazon di tasse sugli utili prodotti in Italia attraverso la sua piattaforma non è dato sapere perché consolida il suo bilancio in Lussemburgo. Avendo però dal 2015 una «stabile organizzazione», si autodichiara e il dato lo conosce l’Agenzia delle Entrate. Sappiamo però che nel 2019 ha fatturato nel mondo 280,5 miliardi di dollari (quasi tre volte Fiat-Chrysler) e dichiara di pagare tasse per 2,4 miliardi di dollari.
Nel 2019 alla Gran Bretagna (dove la corte ha preteso trasparenza) ha versato in sterline l’equivalente di 956 milioni di euro. In Italia nel 2017 ha sanato 5 anni con l’erario versando 100 milioni di euro. In una nota l’azienda dice che «i nostri profitti sono rimasti bassi sia perché il consumer retail è un business con margini ridotti sia per i forti investimenti di Amazon in Italia che ammontano a oltre 4 miliardi di euro. Le società con cui Amazon opera hanno ricadute in termini di gettito sia a livello locale sia a livello nazionale attraverso Iva, Irpef, Ires, Irap, Tasi, Tari». In altre parole: investe molto per allargare sempre di più una logistica che consenta di far arrivare ovunque prodotti a basso costo, sui quali guadagna poco e dunque paga poche tasse, triangolando per il Lussemburgo.
Le finte società che vendono su Amazon
Sulla sua piattaforma, pagando una commissione dal 5 al 20%, può vendere chiunque. In Italia sono molte le finte srl che aprono e chiudono nel giro di un anno evitando di versare l’Iva. Con la conseguenza di mandare fuori mercato le imprese oneste. Gli operatori che vendono solo tramite internet, iscritti alle Camere di Commercio, in Italia sono oltre 20mila. Circa 10 mila quelle che sono in rapporti commerciali con Amazon, con un totale di 18.000 addetti, ovvero 1,8 ad azienda. Un po’ pochi per non sospettare che molte di queste imprese siano solo dei paravento. Nella legge di bilancio del 2018 era stata inserita una frase che dice più o meno così: «Vuoi vendere attraverso Amazon? Le versi l’Iva e Amazon la gira allo Stato come sostituto d’imposta. In questo modo sappiamo anche qual è il suo giro di affari nel nostro Paese». Il testo è stato stralciato prima della conversione in Parlamento. Nessuno impedisce di ritirarlo fuori, soprattutto ora che lo ha indicato anche l’Europa. Amazon dice di poterlo fare, quindi cosa e chi lo impedisce?
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