Lagarde (Bce): «Il patto di stabilità va rivisto prima che rientri in vigore»
Qual è il mandato della Banca centrale
europea in questa crisi inedita del coronavirus? In base ai Trattati,
non include la crescita e l’occupazione…
«La stabilità dei
prezzi è il cuore del nostro mandato, con un’inflazione al di sotto ma
vicina al 2%. In circostanze come quelle di oggi, in cui l’inflazione – e
le attese di inflazione – sono nettamente inferiori all’obiettivo e
l’economia è in profonda recessione, la Bce deve perseguire una politica
monetaria accomodante quanto necessario per stabilizzare, allo stesso
tempo, l’inflazione e l’economia. Dobbiamo intervenire ogni qual volta si manifesti un rischio di restrizione delle
condizioni finanziarie. E dobbiamo assicurarci che la politica
monetaria si trasmetta a tutti i Paesi dell’area euro, in tutti i
settori. È la ragion d’essere di quel nostro strumento eccezionale che è
il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp)».
Dunque tutti i Paesi nei quali la politica monetaria non sembra produrre i suoi effetti meritano di essere aiutati?
«Certo. La trasmissione della politica monetaria è importante tanto quanto la politica monetaria stessa».
La crisi del debito del 2012, poi quella
greca del 2015, avevano minacciato il futuro dell’euro. La crisi
economica di oggi è molto più forte. C’è un rischio di rottura dell’area
euro?
«No. La situazione non è affatto la stessa. Questa
volta non si tratta di una crisi di origine finanziaria e immobiliare
che si estende a tutta l’economia, né di un Paese che si sia messo ai
margini rispetto agli altri per aver applicato un cattivo mix di
politica economica. Si tratta di uno choc simmetrico, che raggiunge
tutte le economie allo stesso tempo. Per proteggere la salute degli
europei, i responsabili politici hanno deciso di chiudere almeno
parzialmente le loro economie. Per questo è importante che tutti i Paesi
ripartano in buone condizioni, usando tutti gli strumenti disponibili».
Dunque il rischio per l’euro è pari a zero?
«Sì. E ricordo che l’euro è irreversibile, è iscritto nei Trattati».
Gli spread sul debito dei Paesi del Sud
Europa sono più ampi rispetto a inizio marzo, malgrado le misure che
avete preso: è soddisfatta?
«Lo ripeto: il nostro ruolo è
quello di assicurare una buona trasmissione della politica monetaria
nell’insieme dell’area euro. Continueremo ad agire senza battere ciglio.
Dal 18 marzo, data di annuncio del Pepp, lo spread italiano rispetto al
Bund tedesco a dieci anni è nettamente sceso. Gli spread di Spagna e
Portogallo anche».
Come giudica la reazione alla crisi dei responsabili politici? Nel 2012 il “Whatever it takes” del suo predecessore Mario Draghi aveva fatto seguito a degli impegni dei governi europei, non li aveva preceduti…
«A
livello nazionale, i governi hanno preso la misura della posta in
gioco. Tra aiuti diretti alle famiglie, rinvio di scadenze fiscali e
garanzie fornite al settore privato, hanno messo sul tavolo
l’equivalente del 20% del Pil dell’area euro. È parecchio. Per parte
propria, la Commissione ha tolto i vincoli del Patto di stabilità e di
crescita e sbloccato i meccanismi degli aiuti di Stato: era
indispensabile. Ma c’è un limite in tutto ciò: lo sforzo è stato
eccessivamente asimmetrico. A seconda dei Paesi, spazia dal 2% al 40%
del Pil, se si sommano gli aiuti diretti e le garanzie. I Paesi
economicamente più indeboliti, che a volte sono i più colpiti dal virus,
non hanno margini di manovra di bilancio che permettano lo sforzo
necessario a risollevare le loro economie. La soluzione è dunque un
piano europeo di rilancio di bilancio rapido, solido, per ristabilire la
simmetria fra i Paesi nell’uscita dalla crisi. Per chiarezza, questo
piano deve avvantaggiare di più gli Stati che ne hanno più bisogno.
Fornire quest’aiuto collettivo è nell’interesse di ciascuno dei Paesi».
In concreto, cosa si aspetta dal Consiglio europeo?
«Il
Consiglio ha una responsabilità immensa: dev’essere all’altezza della
gravità dei danni economici e della sofferenza sociale. A che punto
siamo? Già 540 miliardi di euro sono potenzialmente disponibili, tra
quelli che vengono al Meccanismo europeo di stabilità (Mes), dalle
garanzie complementari alle imprese (incentrate sulle piccole e medie)
promesse dalla Banca europea per gli investimenti e dal piano Sure della
Commissione, che mira a cofinanziare programmi come la cassa
integrazione e dovrebbe partire da giugno. Le linee di credito del Mes
non hanno niente a che fare con i piani di salvataggio del passato. Si
tratta di offerte di prestiti che possono andare fino al 2% del Pil di
ogni Paese, a tassi molto bassi e a condizioni minime. Basta dimostrare
che i fondi sono destinati alle spese sanitarie dirette e indirette
volte a lottare contro la pandemia. Questo pacchetto di misure di
sostegno è benvenuto, ma palesemente è insufficiente a rilanciare
l’economia dell’area euro».
Che ordine di grandezza le sembra necessario?
«Stimiamo
che il fabbisogno di finanziamento supplementare degli Stati generato
da questa crisi, per il solo 2020, sia in totale fra mille e 1.500
miliardi di euro. Alcuni riusciranno senza difficoltà a raggiungere le
somme necessarie, altri hanno bisogno di una solidarietà finanziaria
europea, la cui dimensione e composizione dipenderanno dall’ambizione
dei capi di Stato e di governo, guidati da Charles Michel e Ursula von
de Leyen. Questo piano di rilancio europeo, che io spero sia rapido e
massiccio, dovrà anche dedicarsi a investire nei beni pubblici comuni,
quelli che è meglio finanziare in diversi che da soli, perché è più
efficace. Io ci metto la sicurezza sanitaria, la transizione verso
un’economia più verde, più digitale e che protegga di più la
biodiversità».
Mercoledì scorso, Angela Merkel si è
detta aperta a uno sforzo significativo di rilancio sulle risorse
finanziarie comuni, ma a condizione che le decisioni – in particolare di
bilancio – siano prese in comune. Che ne pensa, è d’accordo?
«La
cancelliera Angela Merkel si limita a ricordare uno dei principi
fondatori dell’Unione economica e monetaria, dal Trattato di Maastricht:
nell’area euro, la solidarietà va di pari passo con la responsabilità;
in altri termini non ci può essere un rafforzamento della solidarietà
finanziaria senza un maggiore coordinamento delle decisioni a livello
europeo. Mi pare una posizione molto opportuna».
Se il Consiglio europeo non mette in
campo un fondo di rilancio sufficiente, i Paesi più vulnerabili possono
contare sul programma di salvataggio della Bce (Omt)? E a quali
condizioni?
«L’Omt resta uno strumento importante nella
scatola degli attrezzi europea, ma è stato concepito per la crisi del
2011-2012, molto diversa da questa. Non penso sia lo strumento più
adatto per far fronte alle conseguenze economiche della crisi sanitaria
prodotta da Covid-19. Oggi, di fronte a un simile choc sistemico, è il
Pepp – il nostro programma di acquisti di titoli pubblici e privati da
750 miliardi di euro – lo strumento più appropriato».
Il suo ammontare è stato calibrato in
marzo, quando ancora si aveva un’idea piuttosto imprecisa della
recessione. Se le vostre previsioni cambiano a giugno, sarà il momento
di rivedere l’ammontare al rialzo? «Su questo argomento, siamo
stati e siamo molto chiari: non esiteremo a aggiustare quanto necessario
le dimensioni, la durata e la composizione del Pepp. Utilizzeremo tutta
la flessibilità necessaria, nei limiti del nostro mandato. Non c’è
alcuna remora psicologica alla nostra azione».
Il quadro di bilancio di Italia, Spagna e
Francia era difficile da prima della crisi. La loro situazione di oggi
non le dà un po’ i brividi lungo la schiena? Bisogna abbandonare il
Patto di stabilità e di crescita?
«La priorità, oggi, è
aiutare le economie a risollevarsi. Gli Stati stanno spendendo e
naturalmente i debiti aumentano; quanto al rapporto fra debito e Pil,
crescerà, perché siamo in recessione. Tutti i Paesi al mondo stanno
assistendo a un aumento del loro livello di debito: secondo le
previsioni dell’Fmi, il debito degli Stati Uniti supererà il 130% del
Pil alla fine del 2020, mentre quello della zona euro sarà sotto al
100%. Certo è una media, ci sono differenze tra i Paesi dell’area. Ma
per valutare la sostenibilità, non bisogna concentrarsi sul livello di
debito rispetto al Pil. Bisogna prendere in considerazione il livello di
crescita e i tassi d’interesse in vigore. Questi due fattori sono
determinanti. Penso che questa crisi sia una buona occasione di
modernizzare le modalità del Patto di stabilità e di crescita, oggi
sospeso. In passato sono state fatte delle proposte innovative, in
particolare da parte dell’Fmi, che sarebbe utile riesaminare. Ne va
misurata la pertinenza e l’efficacia. Credo che i termini del Patto di
stabilità e di crescita debbano essere rivisti e semplificati prima che
si pensi a reintrodurlo, quando saremo usciti da questa crisi».
Cosa pensa dell’idea dei coronabond, un debito messo in comune?
«L’importante è che tutti i Paesi europei capiscano fino a che punto
sono interdipendenti: la produzione di un costruttore di auto tedesco
può bloccarsi perché gli mancano componenti italiani, spagnoli o
francesi. L’integrazione negli scambi nella zona euro oggi è così forte
che è chiaramente nell’interesse di tutti i Paesi, in particolare dei
più solidi, che i più fragili si risollevino. Altrimenti tutti ci
perdono. Se il piano di rilancio europeo mette insieme sussidi
comunitari e prestiti a scadenze molto lunghe, con tassi bassi,
destinati in via prioritaria ai Paesi che ne hanno più bisogno, si sarà
fatto un grande passo avanti nella solidarietà finanziaria in Europa».
Come definisce prestiti a scadenze molto lunghe: dieci, trenta, cinquant’anni?
«Per
il fondo di rilancio europeo, la scadenza dei prestiti dovrebbe essere
almeno dell’ordine di un decennio, ma è chiaro che scadenze più lunghe
aiuterebbero a spalmare di più i costi della crisi nel tempo. La Bce,
per quello che la riguarda, compra titoli la cui maturità è molto lunga,
fino a trent’anni».
Qual è la vera posta in gioco nella
decisione della Corte costituzionale di Karlsruhe: la vostra
indipendenza, il primato del diritto europeo, l’approccio della Germania
rispetto alla Ue, o persino l’euro?
«Abbiamo preso atto di
questa sentenza. La Bce è soggetta al diritto europeo, rende conto delle
proprie attività ai parlamentari europei, risponde in ultima istanza
alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue). A dicembre 2018, la
Cgue ha stabilito in maniera incontestabile che gli acquisti di titoli
di Stato da parte della Bce (programma Pspp) sono perfettamente conformi
al suo mandato e al diritto europeo».
Ma non è una grave rimessa in questione dell’ordine giuridico europeo? L’Europa si è costruita sul diritto…
«L’Europa
è un’architettura di diritto; l’Unione europea è costruita su un ordine
giuridico molto chiaro. E l’indipendenza della Bce, garantita dai
trattati, è un pilastro del pensiero monetario tedesco. È ciò che fa la
forza della Bce nell’assolvere al suo mandato».
Nuovo Mes, ora gli Stati possono richiedere i fondi che saranno disponibili da giugno
Via libera
Malgrado questa decisione, siete in grado di continuare a utilizzare i vostri programmi di acquisto di debito?
«Sì.
La sentenza della Corte costituzionale tedesca stessa è molto
esplicita: dice che il programma Pepp varato durante la pandemia non è
coinvolto in questo giudizio. Non ho alcuna preoccupazione né sul
programma legato alla pandemia (Pepp), né sul programma precedente, che
riguarda gli acquisti di debito realizzati a partire dal 2015 (Pspp).
Come ho detto, la Corte di giustizia europea l’ha giudicato conforme ai
Trattati nel dicembre del 2018. Noi restiamo imperturbabili nel
perseguimento del nostro obiettivo di stabilità dei prezzi».
Non teme che sui mercati finanziari si diffonda un dubbio e che questo limiti l’efficacia della vostra politica?
«Il
Pepp è un programma di acquisti mirati e limitati nel tempo, che
risponde a circostanze eccezionali. Anche le altre istituzioni europee
hanno preso misure eccezionali in questa crisi».
Dunque la legittimità del Pepp è garantita dall’eccezionalità del momento?
«È assolutamente giustificata da questo choc eccezionale».
Ma in queste condizioni che posizione prenderà la Bundesbank sul partecipare – o meno – ai programmi della Bce?
«Secondo
il Trattati, tutte le banche centrali nazionali devono partecipare in
pieno alle decisioni e all’applicazione della politica monetaria
dell’area euro».
La Bundesbank ha uno spazio discrezionale?
«Ogni
banca centrale nazionale dell’area euro è indipendente e non può
ricevere istruzioni dai governi. È quanto prevedono i Trattati».
Ma in questo conflitto qual è il vostro ruolo come Bce?
«La
mia convinzione è chiara. La Bce si è vista affidare un mandato da
parte degli Stati membri della Ue quando hanno redatto e ratificato il
Trattato. La Bce è soggetta alla giurisdizione della Corte di giustizia
dell’Unione europea. Continueremo a rispondere davanti al parlamento
europeo e a spiegare le nostre decisioni ai cittadini europei».
Se si getta lo sguardo qualche anno in
avanti, come riusciranno i Paesi più indebitati a liberarsi dei debiti
contratti a causa del virus? Verranno cancellati? Ridotti? Le scadenze
saranno spalmate nel tempo?
«La soluzione è una crescita
solida e durevole che permetterà, nel tempo, di ammortizzare l’onere del
debito e alle nostre economie di svilupparsi in maniera armonica per
rispondere alle aspirazioni dei cittadini».
Fra certi economisti, l’idea di un debito perpetuo incontra un certo successo intellettuale…
«In effetti è un dibattito… intellettuale».
Lei è stata a Washington alla testa dell’Fmi, quindi è rientrata in Europa da qualche mese. Cosa la colpisce?
«Sono rientrata in Europa con le stesse convinzioni: i nostri modelli di crescita devono evolvere, profondamente, per anticipare e rallentare il cambiamento climatico; le diseguaglianze sono un pericolo; la globalizzazione dev’essere più rispettosa della persona umana. Da questo punto di vista, l’Europa è portatrice di valori fondamentali, preziosi, che ispirano il resto del mondo e abbiamo il compito di difendere».
CORRIERE.IT
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