La lezione del 1946 oggi ignorata

Non si tratta di dare un’immagine edulcorata, di concordia nazionale, a un’epoca della nostra storia che fu segnata da duri contrasti; anche tra la Fiat e gli operai comunisti. Ma è quello spirito del tempo che va recuperato.

Oggi sarebbe già importante riparare il buco nel tetto e mettere i vetri alle finestre. Anche solo coprire le buche nelle strade della Capitale, recuperare le periferie, ristrutturare i fatiscenti edifici scolastici — la scuola è la grande desaparecida di questa fase — darebbe una bella spinta all’edilizia. Ma riparare il buco nel tetto non basta. Dobbiamo formare e mettere al lavoro i nostri giovani. Consentire a chi è andato all’estero di tornare, se lo desidera. Convogliare investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture, nell’alta velocità al Sud — ma anche tra Brescia e Trieste — , nelle nuove tecnologie, nella fibra, nella messa in sicurezza del territorio. E anche nella sanità pubblica; perché la pandemia non è finita.

Siamo alla vigilia di una svolta in Europa. La Germania ha ormai compreso che si deve fare debito comune; e lo farà comprendere anche all’Austria e agli altri partner recalcitranti. Arriveranno molti soldi. Forse non subito, forse non abbastanza; ma arriveranno. Però il nostro Paese già prima di questa crisi non riusciva a spendere i fondi europei. I quali non finanziano l’assistenza, ma i progetti, i cantieri, il lavoro.

Se nel 1946 i nostri padri avessero deciso di spendere i dollari del Piano Marshall in redditi di cittadinanza, non avrebbero fatto dell’Italia una grande potenza industriale. Il piano di intervento dell’Europa può mettere in difficoltà un sovranismo gretto e senza respiro, e può dare invece ossigeno alla produzione; a patto di non pensare di spenderlo in sussidi, che creano solo dipendenza dalla politica.

Dipende dal governo; ma dipende anche da noi. Non è tabù distinguere e valorizzare le aziende capaci di mettere a frutto gli aiuti. Perché fa impressione vedere nelle nostre città, fianco a fianco nelle stesse strade, serrande abbassate con il cartello «in attesa dei soldi del governo» e serrande aperte di chi è tornato al lavoro.

CORRIERE.IT

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