Giovanni Falcone ventotto anni dopo, cercando l’innocenza perduta
«L’Italia si ricorda di Falcone solo per pulirsi la coscienza», vi racconta in un’intervista che troverete su queste nostre pagine Angelo Corbo, uno degli agenti di scorta che sopravvissero all’attentato. E ha ragione anche lui, che ci ricorda come la lezione di Falcone non l’abbiamo assorbita, perché la mafia non è solo organizzazione criminale, ma è mentalità, è cultura, è privilegio. Virus che ci portiamo dietro e che, oggi come allora, intossicano la vita pubblica e persino le istituzioni (come lo stesso Falcone sperimentò sulla propria pelle e come continuiamo a toccare con mano leggendo le intercettazioni dell’inchiesta Palamara). «Questo 23 maggio non ci abbracceremo e non saremo in strada per ricordare il sacrificio di Giovanni», scrive la sorella Maria nel nostro speciale, perché il lockdown ce lo impedisce. Ma a maggior ragione stavolta serve uno sforzo in più. Per esserci lo stesso, per non dimenticare. Noi lo facciamo come possiamo, con il nostro giornalismo. Voi fatelo come vi chiede Maria: esponendo dai vostri balconi, questo pomeriggio alle 18, un lenzuolo bianco. Allegoria di quell’innocenza che perdemmo, ma che non dobbiamo stancarci mai di ritrovare.
LA STAMPA
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