Facebook e la libertà
Lo scorso anno Facebook ha oscurato alcune pagine di Forza Nuova e CasaPound. Non era ben chiaro il motivo, aveva genericamente a che vedere con messaggi di odio e di discriminazione, una specie di grande classico dei social, e non certo esclusiva della destra estrema. Mi sembrava un errore e lo scrissi. Primo, Forza Nuova e CasaPound (di cui non condivido nemmeno il taglio di capelli, meglio premetterlo) partecipano alle elezioni e sono autorizzati dai tribunali a pubblicare i loro giornali: per quale presupposto Forza Nuova e CasaPound hanno diritto di cittadinanza per lo Stato italiano e non per Facebook? La risposta, ragionevole ma temo insufficiente, è che Facebook è una società privata e può fare come crede. È vero, Facebook è una società privata ma ormai è diventato un luogo pubblico, dove ogni partito e ogni politico vivono, diffondono idee, raccolgono consenso, scambiano opinioni con i cittadini e i potenziali elettori. Non è che uno può essere zittito al capriccio di Marc Zuckerberg o di un suo algoritmo.
Secondo – poiché parecchi obiettavano molto sbrigativamente che in fondo si trattava di fasci, e non bisogna essere tolleranti con gli intolleranti (unica citazione di Popper salita a luogo comune, e da lì non se ne esce), e anzi le istituzioni avrebbero fatto meglio a prendere esempio da Facebook e non viceversa – si replicò che se il liberale accetta la censura dell’illiberale, solleva il coperchio a un tombino da cui presto o tardi sarà inghiottito. Beh, la profezia s’è avverata prima del previsto (nel frattempo Forza Nuova e CasaPound sono ricorsi alla giustizia ordinaria, Forza nuova ha perso, CasaPound ha vinto, dunque la questione dell’arbitrio di Facebook in forza della privatezza dell’impresa non è campata in aria).
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