Coronavirus, “così è stato disinnescato”. Dalle autopsie la strada per la cura
Come vi siete avvicinati alla cura?
“Questa è stata la
parte più coinvolgente, in seguito all’esplosione della pandemia ci
siamo resi conto che mancava qualche tassello. Ai primi di marzo si è
deciso di studiare l’anatomia patologica, confrontandosi poi in riunioni
collegiali tra specialisti di tutte le estrazioni durante il picco tra
marzo e aprile. Da qui è partita l’idea di intervenire sulla
coagulazione a livello empirico, con eparina, dopo aver visto il quadro
tromboembolico, e usare il cortisone nella virata infiammatoria
vascolare”.
Vi siete confrontati con ospedali di altre città?
“Siamo
partiti quasi all’unisono con i colleghi dell’ospedale Sacco di Milano,
in modo da riunire i dati delle prime autopsie, stiamo aspettando l’ok
alla pubblicazione da parte di ’The Lancet’, primo autore Luca Carsana,
ma i dati sono già consultabili on line”.
Esaminando tutti quei reperti infetti avete salvato la vita a un
numero incalcolabile di persone, e dato un colpo di grazia all’epidemia.
Chi ve l’ha fatto fare di rischiare la pelle?
“Dovevi essere a
Bergamo in quel periodo, sembravamo sotto un uragano. Era decisivo
capire perché si instaura questa tempesta di citochine. Gli ecografi
faticano a visualizzare certe piccole lesioni,che sono visibili solo al
microscopio, e il compito toccava a noi”.
Si è esaurita la casistica da studiare?
“Di fatto sì, l’afflusso in camera mortuaria si è ridotto tantissimo”.
Le vittime di questi giorni sono degenti che avevano riportato danni permanenti nei mesi scorsi. Che cosa abbiamo davanti?
“L’epidemia dal punto di vista dell’anatomopatologo è sotto controllo, meglio cosi. Abbiamo avuto quadri istologicamente molto differenti. La malattia mantiene le sue caratteristiche, ma ora di casi gravi non ne vediamo più”.
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