Lo zero lombardo e quello romano

Alessandro Sallusti

Spiace dirlo, ma domenica in Lombardia davvero non è morto nessuno per Coronavirus. Spiace per chi sta tifando perché la Lombardia non si rialzi più, per il ministro per caso Francesco Boccia, ossessionato dal modello lombardo e dalla sua autonomia, e per i giornalisti con la bava alla bocca contro la classe dirigente del Pirellone, ma lo «zero» comunicato l’altra sera con grande cautela da Fontana non è stato un errore bensì un fatto, magari casuale e ovviamente non definitivo, ma pur sempre incoraggiante: la guerra non è vinta, sarà lunga e non priva di insidie, però significa che la strada imboccata è quella giusta.

Dicono che i problemi della fase due saranno il distanziamento e il rispetto di decine di regole (molte assurde o non applicabili), cioè che tutto dipenderà dai cittadini. Io penso invece che il problema principale verrà da chi ci governa. Per intenderci: la vice ministra dell’Economia, la grillina Laura Castelli (ex steward allo stadio di Torino), ha sostenuto che sia difficile trovare mascherine «perché gli italiani le vogliono personalizzate»; il ministro Francesco Boccia vuole una milizia di disoccupati da occupare come sceriffi-spie dei nostri comportamenti; il prefetto di Cremona, Vito Danilo Gagliardi, annuncia che la linea nei confronti dei cittadini sarà quella «di colpirne tanti per educare tutti», e immaginiamo che, visto il ruolo, non parli a titolo personale, ma sveli quali siano le direttive che arrivano da Roma.

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