Ballando sul Titanic
Il che può anche essere la verità, o un pezzo della verità, ma non si capisce perché rappresenti un motivo per non andare a processo per rispondere di eventuali responsabilità penali che, come noto, sono personali. Che è poi esattamente ciò che proprio Renzi sostenne quando a gennaio si discusse di un caso analogo. Testuale, nel corso della trasmissione Piazza Pulita, disse: “È una cosa schifosa che Salvini abbia tenuto in mare dei poveri disgraziati. Ma non sono io che devo decidere se ha commesso un reato, io devo decidere se deve andare a processo. E voterei sì”.
Dunque, ciò che valeva sulla Gregoretti e, prima ancora, sulla Diciotti non vale sulla Open Arms, nell’ambito di una battaglia navale che ha già mietuto, come prima vittima, la coerenza su principi non banali. E qui siamo a un bivio in questa riflessione. Si potrebbe imboccare la via del racconto del “perché”, del “cosa accadrà in Aula”, se siamo davanti al solito mercanteggiamento oppure no, e anche dilettarsi su questa sfacciata corrispondenza tra i due Mattei, sfacciata come la ricompensa della non partecipazione al voto in Parlamento con la nomina, grazie i voti della destra, della consigliera regionale Patrizia Baffi alla guida della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia.
Oppure, questa l’altra strada, si potrebbe proseguire il ragionamento sui principi. Imbocchiamo questa, perché siamo davvero di fronte a una delle pagine più grottesche della storia della Repubblica, proprio nel momento più complicato della storia della Repubblica: il paradosso di una forza di maggioranza (Italia Viva) che non vota perché ci sarebbero responsabilità più alte del governo attuale e così facendo ne favorisce il principale avversario, per contrastare il quale proprio Renzi fece nascere il governo attuale. E ancora, per completare il quadro: il medesimo Renzi che era all’opposizione del Conte 1 si adopera per salvarne un atto rilevante, mentre un’altra componente della maggioranza, i Cinque Stelle, che quell’azione la avallò, la coprì e la giustificò, vota per spedire a processo il suo ministro dell’Interno di allora.
Ecco, al netto della tattica, delle dietrologie, dei tanti bla bla più o meno cacofonici, siamo al game over, grottesco e caricaturale, di ogni principio politico, proprio nel momento in cui il paese ha bisogno del massimo di chiarezza, coesione, determinazione, visione. E invece il paradosso diventa sistema in quest’epoca eccezionale. Come è stata paradossale la vicenda Bonafede in cui il partito che ha nel dna la lotta alla mafia rinuncia ad approfondire l’affaire Di Matteo, mentre i cosiddetti garantisti del centrodestra ne votano le dimissioni. Come è paradossale la discussione sugli assistenti civici, col Pd che propone un meccanismo di controllo sociale dei comportamenti e i Cinque Stelle che indossano i panni dei liberali. È la fotografia di una politica che funziona sulle nomine quando il criterio è la convenienza, ma disinvolta e smarrita nei suoi principi di fondo. Di fondo. A proposito di navi, Salvini e processi: i decreti sicurezza sono sempre lì, immutati, per non sbagliare neanche se ne parla.
L’HUFFPOST
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