Coronavirus e test sierologici, l’immunologo Mantovani: «Ecco perché non dicono se siamo protetti e per quanto»
Quindi chi è guarito da Covid-19 non lo è per sempre?
«Per
chi ha davvero sviluppato la malattia possiamo ragionevolmente pensare
che per un certo periodo resterà protetto da Sars-CoV-2. La Sars dava ai
guariti un’immunità di 2-3 anni e questo virus gli è parente. Il
problema è che la stragrande maggioranza delle persone che incontra
Covid-19 o non si ammala o lo fa in modo blando: in questo caso non
sappiamo se la risposta immunitaria indotta, di cui la presenza di
anticorpi è una spia, sia davvero protettiva o se queste persone
rischiano una nuova infezione».
Quali sono gli scenari dopo un test sierologico?
«Possono
succedere tre cose: il test sierologico è negativo, ma in realtà il
soggetto potrebbe avere il virus perché in questa infezione la risposta
immunitaria può comparire fino a distanza di 15 giorni-20 giorni
dall’esposizione. Quindi questa persona potrebbe essere in realtà
contagiosa senza saperlo. Se il test sierologico è positivo le opzioni
sono due: la persona ha incontrato il virus e il suo sistema immunitario
lo ha eliminato oppure, pur avendo gli anticorpi, il virus è ancora
presente, la battaglia ancora in corso e questo lo può scoprire solo il
tampone».
Con tante incertezze a che cosa servono questi test?
«Sono
utili alle indagini epidemiologiche come ad esempio quella che abbiamo
concluso in Humanitas e resa disponibile alla comunità scientifica,la
prima su vasta scala in Italia, guidata dalla Professoressa Maria
Rescigno. Abbiamo testato 3985 tra medici, infermieri, staff
amministrativo anche in smart working , ricercatori, nelle varie
strutture Humanitas sul territorio lombardo.È emerso che 11- 13% del
personale è venuto in contatto con il coronavirus, senza sostanziali
differenze tra le categorie: il personale sanitario, potenzialmente
esposto, rispetto la resto della popolazione. Ne emerge che l’ospedale,
se ben protetto può essere un luogo sicuro per i pazienti e per chi
lavora, per questo invito i 10 milioni di italiani che hanno malattie
diverse come un tumore a tornare in ospedale per farsi curare. I dati
evidenziano inoltre come la prevalenza di positivi per anticorpi tra il
personale delle diverse strutture sia in linea con la situazione del
territorio di appartenenza: dal 3% di Humanitas Medical Care di Varese
al 35- 43% di Humanitas a Bergamo, la zona più colpita in Italia».
In questi giorni si sta parlando di virus attenuato, lei che ne pensa?
«In
banca dati ci sono cinquemila sequenze genetiche e nessuna indica che
il virus si sia attenuato. Ne ragioneremo quando qualcuno porterà le
prove sulle riviste scientifiche autorevoli. È vero che i pazienti sono
molto meno gravi,ma i motivi possono essere molti: l’esperienza clinica
passata, abbiamo imparato a conoscere la malattia; il virus ha colpito
inizialmente le persone più deboli, molte delle quali non ce l’hanno
fatta; oggi ci comportiamo meglio e in questo modo anche i più fragili
sono più protetti; infine le malattie causate dai virus respiratori si
attenuano con la primavera e l’estate perché stiamo di più all’aperto e
in casa teniamo le finestre aperte e la quantità dell’esposizione al
virus cambia. A breve sarà pubblicato uno studio finanziato dalla
Fondazione Cariplo che ha sequenziato 350 ceppi virali in Lombardia.
Aspettiamo di capire che cosa ci dirà».
Ha risposto Alberto Mantovani, 71 anni, un immunologo di fama internazionale. È il direttore scientifico dell’Humanitas di Rozzano, Professore Emerito all’Humanitas University
CORRIERE.IT
Pages: 1 2