Il ballo del voto a settembre nel Paese feudale
Ecco, opposizione contro maggioranza, periferia contro centro, territori contro le strutture politiche nazionali, governatori che si muovono in modo autonomo rispetto ai propri partiti di appartenenza, siano essi di centrodestra sia di centrosinistra, questo il dato politico: linee di frattura come elemento permanente, come è avvenuto con le mille ordinanze su parchi, runner, parrucchieri, bar, movide, proposte di “passaporti regionali” e minacce di chiusure di confini, inedito esempio di “federalismo virale”, fino al voto, fotografia di un paese che sta perdendo un elemento di baricentro nazionale, quasi “feudale” nella logica dei vari signorotti che pensano di disporre gli ingressi nei propri territori.
È chiara la logica strumentale che anima questa discussione, resa possibile dall’assenza di un denominatore comune di visione nazionale, in un paese dove uguale passione non è stata dedicata, per esempio, alle scuole, che non sono state riaperte neanche per un giorno e non si sa quando riapriranno. In materia di sedute fiume in commissione ancora non se ne vedono. Dicevamo, è chiara la logica: i governatori, tutti, da De Luca a Zaia, grandi protagonisti della fase dell’emergenza vorrebbero capitalizzare subito consenso e popolarità, perché di questi tempi non si mai, è un attimo e il clima cambia e, con esso, i consensi. Salvini, diversamente dal suo governatore del Veneto percepito come una risorsa ma anche una minaccia, non ha fretta di fargli incassare un plebiscito: tanto vince comunque ma se vince col 60 più in là è meglio che se vince col 90 adesso. Per il governo, forte del parere del parere degli esperti, settembre stronca il dibattito, se mai qualcuno lo volesse riaprire sul voto per le politiche, anche se poi, inevitabilmente, in un paese che ha ritrovato la consuetudine democratica partirà il tormentone del voto in primavera
Sia come sia, il dibattito rivela la caduta di ogni freno inibitorio, nella misura in cui cade l’ipocrisia anche di seguire, palesemente, il proprio particolare: l’ansia di passare immediatamente all’incasso elettorale, perché il clima può cambiare, l’ossessione del sondaggio di giornata, l’idea che non ci sia un orizzonte lungo, insomma la fiera della strumentalità in un paese che assiste attonito al ballo sulla data. Alla fine ognuno farà come vuole, a partire dal 6 settembre. Niente election day.
L’HUFFPOST
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