Il 28 maggio 1974 Piazza della Loggia, la strage simbolo delle «trame nere»
di Giovanni Bianconi
Di tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia negli anni della cosiddetta «strategia della tensione», alimentata dalle bombe nere ma non solo, quella di Brescia fu la più «politica». Nel senso che si poteva cogliere fin da subito il suo significato: un eccidio consumato non dentro una banca o sul vagone di un treno, dove il bersaglio sono persone colpite a caso, in maniera indiscriminata, solo perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, per incutere un generico terrore; bensì in una piazza durante una manifestazione politica, dichiaratamente antifascista, convocata da sindacati e partiti dell’arco costituzionale, dove i presenti erano lì per gridare lo sdegno e la protesta contro gli attentati dell’estrema destra che avevano fatto tremare la città. Cittadini militanti, si potrebbe dire, e per questo fatti saltare in aria. Dunque una sfida dichiarata all’Italia che diceva no al clima di violenza imposto in quel momento soprattutto dalla tracotanza neofascista e dalle trame nere. Non per questo più grave rispetto alle altre stragi, da piazza Fontana alla questura di Milano, fino al treno Italicus successivo di appena due mesi a piazza della Loggia. Ma certamente più esplicita nel suo messaggio.
Il boato interruppe un comizio in cui l’oratore stava protestando contro la politica in doppiopetto del Movimento sociale italiano, il partito che voleva raccogliere l’eredità del fascismo sconfitto dalla Resistenza trent’anni prima; uno schiocco che spezzò la vita di otto persone e ne ferì oltre cento, registrato in diretta dai microfoni aperti per divulgare il messaggio di una nuova Resistenza, che invece incisero l’esplosione della tracotanza eversiva che voleva stroncarla sul nascere. Una strage consumata in diretta, che ancora oggi si può ascoltare e riascoltare nel suo effetto devastante e minaccioso. Allora come oggi. Quel boato è la testimonianza più forte e drammatica di un periodo terribile;
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