Le parole necessarie. Lo sconcerto di Mattarella davanti a un anno di inconcludenza sulla giustizia
Le parole necessarie. Punto. Senza alcuna sottovalutazione di ciò che è accaduto, indulgenza o prudenza lessicale. Parole che vanno al cuore della questione. E la questione è la delegittimazione che investe la magistratura italiana, in un quadro in cui, di fronte all’opaco intreccio tra toghe e politica che emerge dallo scandalo Palamara, né la politica, nel suo complesso, né la magistratura, nel suo complesso, hanno mostrato una consapevolezza e una capacità reattiva.
Non a caso il capo dello Stato, nel suo crudo intervento, fa rifermento al suo discorso al Csm di un anno fa, quando lo scandalo si manifestò in tutta la sua deflagrante portata, rivelando la “degenerazione del sistema correntizio” e “l’inammissibile commistione tra politici e magistrati”. In quell’occasione Mattarella espresse “grave sconcerto” e “riprovazione”: uno stato d’animo, che oggi si ripropone in modo ancora più assillante, nella misura in cui reca in sé una denuncia politica e morale, di fronte a un anno di sostanziale immobilismo, che una nuova ondata di ascolti rende pressoché incomprensibile e ingiustificabile.
Vox clamantis in deserto, sia allora, quando, tranne rare eccezioni, anche i Torquemada in servizio permanente effettivo, con la toga svolazzante e il dito puntato, evitarono di porre il tema della “questione morale” nella magistratura, sia oggi che si registra un anno di inconcludenza, a causa delle contraddizioni interne al Conte 2, in materia di giustizia, che parimenti al Conte 1, hanno nei fatti congelato il tema. E anche a causa di una reazione anch’essa “correntizia” alla questione da parte dei magistrati con l’Anm impegnata in un rimpallo di responsabilità tra chi è più o meno coinvolto, ma non a una corale assunzione di responsabilità.
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