Le parole necessarie. Lo sconcerto di Mattarella davanti a un anno di inconcludenza sulla giustizia
In questo senso, le parole di Mattarella vanno ben oltre una risposta a Salvini, che in questi giorni lo ha tirato in ballo, in modo più o meno scomposto, più o meno strumentale. Diciamo così: affrontano un tema che è più grande di Salvini, ovvero la necessità di un’azione urgente e determinata che tuteli e rilegittimi la magistratura agli occhi degli italiani, evitando che, nella propaganda politica e nel senso comune, venga buttato via assieme all’acqua sporca delle degenerazioni anche il bambino, e cioè l’ordinamento giudiziario nel suo complesso. Ma, al tempo stesso, nell’intervento c’è il fermo rifiuto di una doppia morale e di un doppio standard politico-morale per cui in fondo, se una scorrettezza nuoce il leader della Lega diventa tollerabile: magistrati che al telefono auspicano che un politico venga abbattuto con i processi è grave in sé, a prescindere dal colore della casacca indossata da quel politico.
Si chiama, semplicemente, senso dello Stato e delle istituzioni, riaffermato nel più rigoroso rispetto delle proprie prerogative costituzionali. Per questo, con altrettanta fermezza, Mattarella mette un punto fermo di fronte alla gazzarra, artatamente creata con una martellante campagna della destra, in nome dello “sciogliamo tutto”. La legge istitutiva del Csm prevede infatti che, essendo un organismo autonomo, non possa essere sciolto da altri organi costituzionali. C’è un unico caso in cui questo è possibile: qualora dovesse manifestarsi una non funzionalità dello stesso, “condizione che si realizza, in particolare, ove venga meno il numero legale dei suoi componenti”. Non è il caso dell’attuale Csm che si è in parte rinnovato con le dimissioni e la sostituzione dei cinque consiglieri coinvolti nell’affaire Palamara, su cui sono in corso procedimenti disciplinari, che peraltro risulterebbero interrotti da uno scioglimento del Csm.
Ecco, la strada non è una facile invocazione di processi di piazze, reali o social, ma una profonda presa di coscienza, un cambiamento radicale di approccio e di metodo. Che spetta alla politica, intesa come Parlamento e Governo, chiamati a discutere una riforma del Csm che preveda “criteri nuovi e diversi”. È l’ennesima chiamata a un’assunzione di responsabilità, in un dibattito, quello sulla riforma del Csm, ripropostosi in modo quasi stanco e annoiato, con l’ipocrisia di chi lo ripropone da trent’anni a questa parte, senza che si riesca ad arrivare ad un approdo concreto. Sempre nel rispetto delle proprie prerogative, più di un invito pressane il capo dello Stato non può fare. Non sarebbe il primo caso che non viene raccolto, come accaduto un anno fa. Comunque, come si suol dire, resta agli atti. Anche per tutte le volte in cui viene tirato in ballo a sproposito.
L’HUFFPOST
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