Covid: oltre metà delle società mettono gli utili in cassa e non li spartiscono. Ecco quali
Il 14 gennaio Allianz Global Investors aveva pubblicato uno studio secondo il quale il 2020 sarebbe stato un altro anno record per le aziende europee: «I titoli azionari europei – si leggeva – distribuiranno dividendi per 359 miliardi di euro: +3,6% (12 miliardi in più) rispetto al livello record del 2019». In Italia, invece, i dividendi attesi dai titoli quotati in Piazza Affari erano di 23 miliardi di euro. Nessuno, però, aveva previsto l’esplosione della pandemia Covid che, in quei giorni, serpeggiava già silenziosamente in Europa.
La corsa al taglio dei dividendi
Nel settore petrolifero, a livello europeo, tagliano il dividendo la compagnia energetica statale norvegese Equinor (-67%) e la francese Total che, insieme alla Shell, fa parte di quelle 50 società mondiali top (nessuna italiana) che negli ultimi 25 anni hanno sempre pagato i soci. Anche il consorzio aerospaziale europeo Airbus cancella il dividendo per un valore di circa 1,4 miliardi di euro. Scelta obbligata per Lufthansa che, con i voli a terra, ha dovuto rinunciare a premiare i soci nonostante l’utile netto di 1,2 miliardi dello scorso anno. Non solo: cassa integrazione per decine di migliaia di dipendenti, richiesta di aiuti allo Stato e il taglio del 20% delle remunerazioni del board. Nel Regno Unito non lo distribuiscono la catena di pub Wheterspoon, la compagnia media Plc, la catena di grande distribuzione Kingfisher. Uno scenario meno diffuso negli Stati Uniti. Anzi, oltreoceano ha creato scandalo che cinque compagnie abbiano licenziando migliaia di lavoratori e chiuso impianti mentre continuavano a premiare gli azionisti durante la pandemia. Caterpillar, Levi Strauss, Stanley Black & Decker, Steelcase e World Wrestling Entertainment hanno distribuito oltre 700 milioni di dollari ai soci e tagliato migliaia di posti di lavoro che hanno chiesto il sussidio statale. «In Europa tagli e annullamenti – Secondo Alessandro Capeccia, gestore di Azimut – pesano circa il 35%: ad oggi 197 società dello Stoxx600».
Il settore bancario e assicurativo
Stop ai dividendi nelle banche europee, almeno fino al prossimo primo ottobre, come chiesto da diverse autorità di vigilanza. Le prime a muoversi erano state il 24 marzo la tedesca Bafin e quella svedese Finansinspektionen. Il 27 marzo è arrivata la raccomandazione finale dell’organismo di vigilanza della Bce a tutte le banche europee vigilate: «Il capitale conservato può essere utilizzato per sostenere famiglie, Pmi e grandi imprese o per assorbire perdite da esposizioni esistenti» ha scritto la Banca centrale che mirava a trattenere nei fondi delle banche 30 miliardi di capitale aggiuntivo, per arrivare a 450 miliardi di volume di possibile credito a cittadini e imprese. Di questi 5,5-6 riguardano solo i dividendi delle banche italiane. Il richiamo di Francoforte non ha valore legale perché ogni istituto è un’impresa, ma è difficile da eludere. Nel giro di poche ore, infatti, si sono tutti adeguati. Unicredit ha rinviato i dividendi (oltre 1,4 miliardi), ma ha confermato risorse ed erogazioni alle fondazioni azioniste (che valgono circa il 5% del capitale) per le loro opere sociali. Lo ha fatto anche Intesa Sanpaolo che ha sospeso la cedola, tenendo in cassa come riserva tutto l’utile 2019 di 4,2 miliardi. Anche Banco Bpm ha seguito le indicazioni della Bce, come Ubi, Banca Mediolanum, Banca Generali, Mediobanca, Ifis, Fineco, Bper e Banca Popolare di Sondrio. La stessa indicazione di prudenza è arrivata dall’Ivass (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni). Molte compagnie si sono adeguate, come Cattolica, altre no, come Generali il cui board ha deliberato di distribuire 1,5 miliardi di euro di utili ai soci in due tranche, una ora e una a fine anno. Unipol, i cui azionisti sono principalmente il mondo delle cooperative, ha congelato solo la cedola della capogruppo, mentre ha confermato quella della controllata UnipolSai.
Cosa succede nel mondo produttivo italiano
Azimut ha raccolto i dati per Dataroom: su 86 soggetti 35 hanno deciso il taglio o rinvio dei dividendi. «È un campione rappresentativo delle principali società quotate alla borsa italiana e la percentuale, il 41%, è molto elevata, soprattutto se confrontata con gli anni passati e con gli altri mercati europei. Se poi si aggiunge chi lo ha dimezzato si sale a 46 società, ossia il 53%». Hanno sospeso la distribuzione degli utili ai soci le imprese produttive più toccate dal lockdown o quelle che non hanno problemi di cassa, ma che hanno deciso cautela per una totale mancanza di visibilità sul futuro. È il caso della bergamasca Brembo, quella dei freni, un’azienda in salute ma che opera in un settore in crisi e che ha sospeso la cedola. Il titolo ha perso l’11,6% della sua capitalizzazione dopo l’annuncio, ma la Brembo ha tirato dritto: ha acceso nuove linee di credito per allungare la scadenza media dei premi, ha aumentato gli investimenti in ricerca e sviluppo e ridotto i costi. Cancellano il dividendo anche Autogrill e Atlantia. E il colosso siderurgico Tenaris, che ha fabbriche anche nella bergamasca, una delle zone più colpite, dal virus. Nel settore moda Brunello Cucinelli è stato tra i primi a reagire, annullando il dividendo e tenendo in azienda i 49,3 milioni di utili del 2019, così come Tod’s, Fila, Moncler e Ferragamo. Stessa prudenza nel comparto dell’editoria: Mondadori, Cir, Rcs e Cairo communications hanno tutte cancellato il dividendo, mettendolo a riserva. E poi ci sono la Marr e la De Longhi: i due cda avevano deliberato il dividendo, ma l’assemblea dei soci l’ha bocciato rinunciando a 53,22 milioni e 80,73. Nel petrolifero a fronte della Saras di Moratti che non distribuirà dividendi ai soci, nonostante i 26,2 milioni di utili del 2019, 7,6 dei quali sarebbero andati a Massimo Moratti, c’è la Erg dei Garrone che darà ai soci 112,7 milioni di utili.
Lo Stato si stacca i dividendi
In altri casi il dividendo è stato più forte del virus, soprattutto per le società che hanno tra gli azionisti il Tesoro o enti pubblici: Italgas paga 207 milioni; Leonardo 82,2; Poste Italiane 866,4; Snam 780; Saipem 10 milioni di euro (nonostante 84,6 milioni di perdita nel 2019); Raiway 63,3; Terna 501,49 milioni. Eni ha cancellato metà del dividendo, ma aveva già distribuito un acconto di 1.562 milioni di euro a fine 2019. Ma la parte del leone la fa Enel che ha registrato un utile di 4.767 milioni di euro e stacca una cedola, tra anticipo e saldo, di 3.334 milioni. Anche alcune aziende municipali hanno deciso di remunerare i soci: a Milano A2A ha distribuito 241 milioni di euro ai soci, a Roma Acea oltre 116 e a Bologna Hera ha distribuito 149 milioni. Ma che lo Stato, nelle aziende che controlla, decidesse di distribuire i dividendi c’era da aspettarselo visto il bisogno di fondi che ha per far ripartire il Paese. Meno comprensibile la decisione di Enav, che con i propri radar controlla i cieli italiani mai così vuoti come in questo periodo, di distribuire ai soci 113,2 milioni di euro su un utile di 118,43. La non quotata Sea, per rimanere nel settore aereo, ha invece annunciato il taglio del pagamento della seconda tranche dei dividendi 2019, per un ammontare di 82 milioni di euro.
Tra i privati che ridistribuiscono gli utili tra i soci ci sono Campari, Piaggio, Webuild (Salini Impregilo), il gruppo farmaceutico Recordati e Diasorin, i cui affari vanno più che bene proprio a causa del Covid, visto che hanno messo a punto i test sierologici per analizzare gli anticorpi.
Il caso Agnelli: incassano, ma chiedono prestiti
E poi c’è il caso Agnelli. La famiglia ha deciso di non fare marcia indietro sul megadividendo straordinario dovuto alla prossima fusione con Psa da 5,5 miliardi di euro, di cui 1,6 andrà alla alla holding di famiglia Exor. Eppure con Fca Italy ha chiesto un prestito causa Covid di 6,3 miliardi di euro con garanzia statale dell’80%. Fca Italy spa è una società italiana che ha come unico socio Fca; è, cioè, il ramo italiano di una multinazionale che ha scelto come sede legale i Paesi Bassi, dove il diritto societario è più agevole, e come sede fiscale il Regno Unito, dove il regime fiscale più conveniente. Soprattutto sui profitti: Fca Italy paga in Italia le tasse su produzione e vendite locali, ma i profitti di queste attività vanno a Londra, come pure i dividendi degli azionisti. La casa ex torinese non ha commentato, ha solo diramato una note nella quale spiega «Fca Italy ha avviato una procedura con il Governo italiano per l’ottenimento di una garanzia da Sace per il perfezionamento di una linea di credito destinata esclusivamente al sostegno della filiera dell’automotive in Italia, composta da circa 10.000 piccole e medie imprese. A tale riguardo è stato avviato un dialogo con il primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo», senza spiegare ulteriormente come varrà usato quel prestito. La legge glielo permette: le misure del Decreto Cura Italia e del Decreto Liquidità danno la possibilità a micro, piccole e medie imprese che abbiano sede in Italia e debiti nei confronti di banche e intermediari finanziari di ottenere una concessione di credito per superare i danni del Covid, ma a condizione di non staccare dividendi. E qui sta l’inghippo: Fiat Italy Fca non dà dividendi, i proventi vanno alla casa madre Fca che, di fatto, non è una società italiana e non deve sottostare alle norme italiane. Quindi vengono concessi 6,3 miliardi a una società il cui gruppo ha registrato un utile netto di 2,7 miliardi nel 2019, staccherà dividendi per 5,5 ed è controllato da una finanziaria, la Exor, che ha utili nel 2019 per altri 3 miliardi di euro. Vincoli sull’utilizzo del denaro garantito dallo Stato? Non risultano. Per rimanere in casa Fiat, Fca non distribuirà il proprio dividendo 2020 di 1,1 miliardi, così come farà Cnh (Iveco) che ha cancellato 243 milioni di euro di cedola su 781 di utili. Ripagheranno i soci, invece, Ferrari (210 milioni) ed Exor (100 milioni, 54 dei quali solo alla famiglia Agnelli).
Il Covid cambierà la «geografia» economica che conosciamo
Secondo Fausto Artoni, presidente di Impact Sim, questa crisi ci dà la possibilità di cambiare molte cose: «Oggi l’interesse primario non è remunerare i soci, ma proteggere tutti coloro che ruotano intorno all’azienda dai dipendenti, ai fornitori, ai clienti. Una visione di lungo termine, volta a preservare risorse per scopi più importanti. Anche la politica di forte dislocamento della produzione nei Paesi emergenti si è dimostrata fallimentare, come dimostra il caso delle mascherine. I mercati si confronteranno con questo nuovo scenario e molti investitori apprezzeranno. C’è solo bisogno di qualche importante esempio. Penso ad Apple, che ha in cassa 200 miliardi di dollari, se dovesse cambiare gestione dei propri utili, destinando il 10/20/30% a tutelare gli stakeholders cambierebbe tutto». Devono pensarci i governi, però, a imporre un cambio di rotta, perché dalla disgrazia Covid Apple, Google, Amazon, Microsoft hanno avuto solo vantaggi e rafforzato la loro posizione di monopolio.
DATAROOM
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