Un’infermiera, un ragazzino e mille mostri

E pensate un po’ che anticorpi democratici al male: c’è un tredicenne, ora più grandicello, che ha subito la violenza sessuale di una donna, e noi rendicontiamo per filo e per segno, così adesso tutta Prato sa chi è, che cosa ha fatto, che ha un figlio, eccetera. Possono additarlo dall’altro marciapiede. E questa non è violenza? Non è altrettanta violenza? E per di più di quella vile, legalizzata e dunque spensierata, irresponsabile, inguardabile. Abbiamo un neonato (o poco più) e tutta Prato sa da dove viene, abbiamo un ragazzino che frequenta le medie e tutti sanno che madre ha, ormai ognuno autorizzato a giudicare, a misurare le vite degli altri, a biasimare, a perdonare come Gesù Cristo.

Poi arriva il processo (in attesa di Cassazione). E stiamo parlando di un processo allestito per misurare le colpe, stabilire le punizioni, ristabilire l’ordine morale, un processo col preciso compito di dissezionare le anime e i cuori. E infatti – la legge è legge, mi arrendo – a verificare se giacquero il giorno prima o il giorno dopo, e cioè se lui aveva ancora tredici anni o già quattordici, e – davvero, giuro – se in lei ardeva un sentimento nobile, declinato ignobilmente, o una più deplorevole brama predatoria. Si propende per la seconda ipotesi e, codice alla mano, sei anni e sei mesi di penitenziario. E il marito? Ah, il mascalzone, cerca di salvare il salvabile, riconosce un piccolo che non è il suo – falso in atto pubblico! – è così impregnato d’amore che sceglie la moglie, sceglie un figlio altrui, magari è persino capace d’innamorarsene, di stringerlo come si stringono i cuccioli, cioè porta l’asticella della cura di sé, della sua famiglia, del nuovo arrivato oltre la soglia della legalità. Vergogna! Un anno e mezzo di galera, con sospensione condizionale della pena, si presume.

Ecco, secondo me tutti quelli che hanno compiuto il loro dovere, sacro e protetto dalla Costituzione, di informare e di emettere sentenza, e di tracciare la legge, e di prevedere la sanzione, sono (siamo) peggio di quella donna e di quell’uomo, il danno che provochiamo è più devastante di quello provocato dalla relazione scandalosa e clandestina. E una storia di per sé inafferrabile, può contenere la vetta e l’abisso, l’indecifrabilità dell’essere umano, la sua debolezza, l’intima contraddizione. E poi ci tocca accorrere, mettere mano, dirimere e proteggere, davvero non possiamo farne a meno, ma se a tutto questo la risposta è l’ultima scossa tellurica su una famiglia messa all’angolo, è chiudere a chiave, è la cella, bè, allora io mi vergogno molto di me e della civiltà in cui vivo.

L’HUFFPOST

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