Il dialogo parte e già si ferma
Non ci vuole una Cassandra per prevedere, basta leggere le prime reazioni delle opposizioni, che un impianto siffatto è destinato a riproporre la stessa dinamica andata in scena finora, perché siamo già oltre, e il tentativo di “aggancio” delle opposizioni per corresponsabilizzarle di fronte alla protesta montante, senza un terreno specifico è fuori tempo massimo. In scena, da ieri, c’è un nuovo soggetto, uscito anch’esso dalle case dopo il lock down, più forte di Salvini e della Meloni e della loro capacità di mobilitazione: la rabbia sociale che avrà nei prossimi mesi una forza di condizionamento della destra politica, il che senza dubbio può fare molti danni al paese, ma certamente segna un volta-pagina. È tutta qui la fragilità del “sediamoci attorno a un tavolo”, “perché i fondi che arriveranno non sono un tesoretto ma un patrimonio del paese”, della perdurante retorica degli esperti, con le task force dei manager che sostituiscono quelle dei virologi, nell’ambito di una stessa cessione di sovranità.
È lo iato tra le parole e la realtà, financo nelle “scuse” porte a proposito dei ritardi sul pagamento della cassa integrazione: “colpa dello Stato”, come se il presidente del Consiglio, pur non essendo Luigi XIV (l’etat c’est moi!) non avesse nulla a che fare con lo Stato, secondo una strana teoria per cui la politica ha fatto tutto bene e le responsabilità sono dei meccanismi istituzionali. Ecco il punto, è in questo iato che si annidano i focolai della protesta e del film che verrà, di cui abbiamo assistito alla proiezione del trailer nella piazze del 2 giugno, contro il governo, contro l’Europa, contro tutto. E se casomai ne dovessero perdere la rappresentanza politica Salvini e la Meloni, arriverà il Pappalardo di turno. Nelle crisi di fondo accade così.
L’HUFFPOST
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