I (troppi) dossier non chiusi

Ma la domanda, legittima e non prevenuta, è se Conte con le sue modalità narrative sia davvero capace di parlare alla nostra Main Street o invece appaia più preoccupato degli equilibri romani di governo, delle voci di corridoio e di cementare attorno a sé il consenso del ceto amministrativo di Stato. Prendiamo, ad esempio, la questione dei prestiti garantiti dallo Stato alle piccole e piccolissime imprese. Non credo che tutte le Pmi si possano salvare – già nel 2008 non andò così – se non altro perché l’età media di molti capiazienda è ben oltre la soglia critica ma la selezione, se ci deve essere, non può essere affidata alla burocrazia bancaria. E invece continuano le segnalazioni da tutta Italia di trasferimenti che avvengono in maniera troppo lenta.

All’interno della compagine governativa però il Mise — che dovrebbe governare quella selezione — appare l’anello debole, una struttura fiaccata dalla lottizzazione grillina. Servirebbe almeno un Mister Pmi che sapesse parlare al mondo dei Piccoli e costruire un percorso credibile di uscita dall’emergenza. Le riunioni nella Sala Verde, il tempio della concertazione, nel tempo si sono rivelate sempre meno operative e sempre più trasformate in defatiganti tournée oratorie.

Ma anche su un altro terreno, quello del contenzioso con Autostrade la tempestività e l’efficacia non sembrano rientrare tra le principali doti del capo del governo. La chiusura del contenzioso sorto dopo il crollo del Ponte Morandi con l’azionista Atlantia è necessaria, lo dimostra se non altro il paradosso che sia risultato più veloce ricostruire il viadotto che chiudere una battaglia politico-legale. Quel dossier poi blocca la realizzazione di opere pubbliche a cascata, come non si stanca di denunciare Stefano Bonaccini, l’unico governatore del Nord che porta la stessa casacca di uno dei partiti di governo e, il caso vuole, l’esponente che con il suo successo elettorale contro Matteo Salvini ha allungato la vita al governo Conte.

Un terzo dossier che mostra l’andamento lento pede dell’esecutivo è quello degli incentivi per il mercato dell’automotive, che non sarà più «l’industria delle industrie», come veniva definita una volta, ma si porta dietro molte altre filiere come l’elettronica, l’arredo degli interni, le materie plastiche. Nell’immediato il settore è scosso dalla crisi di domanda di cui sopra ma è anche alla vigilia di una tormentata transizione tecnologica. Chi si sta occupando di questo rebus? E chi nel decreto Rilancio ha pensato bene di incentivare i monopattini ma ha dimenticato l’automotive? Forse aver relegato la task force di Vittorio Colao a compiti sostanzialmente consulenziali è stato, da parte di Conte, un calcolo errato. La lista dei dossier caldi, infatti, potrebbe continuare impietosamente ma preferisco in chiusura sollevare una questione di metodo: durante tutto il picco dell’emergenza sanitaria il premier ha abilmente mescolato le responsabilità del suo ruolo con quelle del comitato medico-scientifico, temo che nella fase della ricostruzione sia tentato di fare il bis. E il secondo coniglio dal cilindro potrebbe prendere le sembianze degli Stati generali dell’economia. Un evento punching ball più che la ricerca della strada che porta a un autentico contratto sociale.

CORRIERE.IT

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