Per il turismo italiano (e mondiale) il 2020 è perso. La vera ripartenza sarà nel 2021. A condizione che…
MARCO BERCHI
Affari, famiglia, lavoro, studio, salute. E vacanza. Le motivazioni di viaggio, lungo o breve che sia, sono molte; all’avvio dell’estate 2020 tutti parlano di una sola, quella che in inglese si chiama “leisure”, in francese “loisir” e in italiano vacanza. Bene, la tesi di questo articolo è semplice: per l’industria turistica italiana nel suo complesso, il 2020 è un anno perso, andato, svampato e prima lo ammettiamo e meglio è. Perché solo così potremo prendere le decisioni che servono.
Dopo aver ricordato che parliamo solo dei viaggi per vacanza e non degli altri tipi di viaggio, procediamo nell’illustrare questa drastica tesi. Per farlo, mettiamoci nei panni di un potenziale cittadino italiano o europeo “consumatore di vacanza”, il che non dovrebbe essere troppo difficile: lo siamo quasi tutti.
Dagli schermi dello smartphone che guardiamo e dalla carta che leggiamo emerge uno scenario chiarissimo nella sua confusione. Primo: il virus è in calo ma potrebbe tornare. Secondo: quando mi allontano da casa devo mettere nel conto la possibilità che mi ammali. Terzo: nel posto in cui mi piacerebbe andare, temono a loro volta che io mi ammali e che faccia ammalare altri.
Questo è con buona approssimazione il nostro panorama mentale su cui svolazzano come uccelli neri le parole dei media e dei politici: “passaporti sanitari”, “quarantene”, “distanziamento sugli aeromobili”, “corridoi turistici” ecc. ecc. Un panorama al quale si aggiungono le considerazioni economiche e finanziarie del buon padre di famiglia, che magari si è già anche bruciato le ferie durane il lockdown. Il quale padre non solo sa che i maggiori costi che le aziende turistiche dovranno sostenere stanno già innescando aumenti dei prezzi, prevede anche che l’autunno sarà molto duro e che quindi è meglio risparmiare.
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