Chi soffia sul fuoco
Di nuovo, dopo tre mesi di auto-isolamento, paura e oltre trentatremila morti, c’è la disperazione sociale fotografata dal governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco. Una miscela esplosiva pronta a essere agitata per infiammare il Paese dagli incendiari di professione, i gruppi neo-fascisti e neo-nazisti che avevano cominciato ad alimentare la tensione prima del contagio e che ora sono rinforzati dalla disoccupazione, i negozi che chiudono, i licenziamenti in arrivo. In tutta Italia, soprattutto si moltiplicano gli allarmi di sindaci e di amministratori, i più sensibili, i più attenti a cogliere i messaggi impliciti nelle manifestazioni di protesta.
Nelle piazze delle province emiliane o lombarde più colpite dalla doppia
crisi sanitaria e economica, impreparate a trasformarsi in un pugno di
settimane da centri della crescita e del benessere a territori simili
alle aree interne care a economisti come Fabrizio Barca, in bilico tra
progresso e arretratezza. Da settimane spuntano sigle di protesta
anti-istituzionale che si fa forza dell’impoverimento collettivo:
Risorgi Italia, Rialzati Italia. Giuste rivendicazioni, la rabbia per
esempio dei ristoratori riuniti attorno al movimento Horeca, si
confondono con lo sciopero fiscale, i movimenti contro i nemici della
Nazione, la marcia degli ultras. Un Fronte di cui si scorge visibile una
trama, anche se manca, per ora, l’imprenditore politico pronto a
cogliere tutto quanto seminato. Ma si riconosce in filigrana la
strategia della destra italiana e europea, da circa un secolo a questa
parte: qualcuno accende il fuoco, qualcun altro si candiderà a
spegnerlo.
È la storia della Francia di questi anni con i gilet gialli che hanno
devastato per mesi Parigi un anno fa e furono corteggiati da quel Luigi
Di Maio che invece in questa settimana ha incontrato a Roma il ministro
degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, ma anche della Germania, dove
esattamente un anno fa, il 2 giugno 2019, un estremista di destra uccise
il democristiano Walter Lübcke, sostenitore della politica di apertura
ai rifugiati di Angela Merkel, un giovane neonazista ha assaltato la
sinagoga di Halle, un altro lupo solitario neo-nazista ha provocato una
strage (undici morti) a Hanau, il giorno prima che in Italia cominciasse
l’emergenza coronavirus.
Chi soffia sul fuoco, la copertina dell’Espresso da domenica 7 giugno
La prima pagina del settimanale in edicola e online da domenica 7 giugno
È un ricatto della paura che passa per il negazionismo (dello sterminio
degli ebrei o della pandemia), perché per ideologi e militanti il
sistema che tiene in pugno i popoli mente per definizione, individua un
nemico da sterilizzare (lo straniero invasore oppure, per un
capovolgimento della realtà, i giornalisti che indossano la mascherina),
affida a qualcuno il compito di riportare l’ordine.
È quanto sta accadendo nel cuore della democrazia occidentale. Negli
Stati Uniti il capo degli incendiari brandisce in modo blasfemo la
Bibbia e il fucile, dichiara guerra agli Antifa, ai governatori
democratici e a un pezzo consistente dei cittadini ed è il vertice della
Nazione,
il presidente degli Stati Uniti in cerca di una rielezione più difficile di quanto si aspettasse, Donald Trump
.
Dal bunker il capo della Casa Bianca lancia la sua istigazione alla
violenza in un Paese che non bruciava così dal 1968, porta l’America
alla rottura (Paul Krugman), come avvenuto in altri momenti della
storia, nel grande Paese che è la patria della democrazia e della
libertà, ma è percorso fin dalla fondazione dai loro opposti, il
razzismo, lo schiavismo, la discriminazione per il colore della pelle o
per motivi di genere, come dimostra Jill Lepore nel suo voluminoso
racconto appena pubblicato in Italia (“Queste verità”, Rizzoli).
La destra punta a spezzare, rompere, lacerare, sia nella sua
versione di piazza fetida e mascalzona, come quella italiana, sia in
quella che si traveste da populista e occupa i vertici della forza
pubblica e economica, come quella americana. E poi si propone
di ricostruire, dopo aver distrutto la possibilità di convivenza civile e
di uscita solidale dalla crisi drammatica in cui siamo immersi in tutto
l’Occidente. Per questo diventa ancora più urgente una ricostruzione
non astratta, di carne e di sangue, di riforme che agiscano nel corpo
vivo delle persone con i loro bisogni e le loro attese, una
ricomposizione attenta e paziente, anche se non lenta, perché di
lentezza e di cavilli si muore e anche di astratte fasi costituenti,
come quella che vagheggiano il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e
il suo predecessore Silvio Berlusconi, ma anche il segretario del Pd
Nicola Zingaretti.
La cinica strategia di Donald Trump: aizza gli scontri per poter vincere le elezioni
Il presidente americano vuole sfruttare il caos per poi potersi presentare come uomo d’ordine: un sistema che ha favorito Richard Nixon nel 1968. Ma si tratta di una scommessa azzardata
Non si ricostruisce che sulle macerie, certamente, ma va evitato che questi impegni siano soltanto la pura anteprima dell’ennesima manovra di Palazzo, magari un governo Conte tre allargato a Forza Italia che isoli la destra politica ma che non servirebbe a isolare la destra nella società. Nello spirito di verità e di coraggio richiesto dall’istituzione ancora capace di parlare al Paese e dalla persona che le dà autorevolezza e prestigio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il destino comune, l’unità morale, sono le parole antidoto al virus dell’odio e della rottura democratica, che arrivano da Codogno, la città lombarda da cui è partito tutto. Il silenzio e il vuoto delle piazze e delle strade di quelle settimane in cui l’Italia è apparsa unita sono già dimenticati, le stesse vie sono di nuovo percorse dagli apprendisti stregoni di ieri e di sempre. Per questo l’unità morale di Mattarella è oggi il contrario di un indistinto approdo tecnico, del trasformismo, dell’embrassons nous. È un ambizioso programma, un manifesto politico. Che attende interpreti all’altezza.
L’ESPRESSO
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