Coronavirus, brutto segno se la scienza dà i numeri
di MATTEO MASSI
l rischio di dare i numeri. Da più di due mesi il bollettino della Protezione Civile è diventato la nostra bussola. Non solo nostra, a dir la verità, visto che il governo ha deciso di chiudere il Paese, sulla base proprio di quei numeri: contagiati, morti, ricoveri in terapia intensiva, Rt, Rzero, eccetera eccetera. E così ogni giorno il bollettino, sempre più atteso, è riuscito a sostituire perfino le previsioni del tempo nelle nostre ricerche quotidiane, tra giornali, siti internet e tv.
Ora l’Accademia dei Lincei mette in discussione il modo in cui sono stati dati quei numeri. E il rischio di aver dato i numeri, non nel senso meccanico dell’azione, ma in quello di aver fornito cifre e dati fuorvianti sulla diffusione del Coronavirus, anzi sulla sua ritirata, è assai concreto.
Flashback: ci ricordiamo bene le conferenze del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli (a proposito, dove è finito?), che nei primi appuntamenti urbi et orbi forniva qualsiasi tipo d’indicazione utile a capire che cosa ci fosse dietro a quei numeri. A partire dall’età dei contagiati e dei ricoverati, di chi finiva in terapia intensiva per arrivare alle eventuali patologie di chi moriva per il Coronavirus (e non di Coronavirus). Qui, non è questione di fare del negazionismo. Nessuno, sano di mente, può pensare minimamente di negare quale enorme tragedia sia stata il Coronavirus. Però anche i numeri, soprattutto in questa fase, un po’ come chiede l’Accademia dei Lincei, andrebbero quanto meno contestualizzati nello spazio-tempo e spiegati.
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