Palermo, le mani dei boss sulle scommesse: 8 arresti. “La mafia ha comprato tre concessioni dai Monopoli



Agli imprenditori Elio e Maurizio Camilleri, che sono stati in società con Rubino, è stato notificato il divieto di dimora a Palermo.

Palermo, le mani di Cosa nostra sulle scommesse: 8 arresti


Il provvedimento firmato dal gip Walter Turturici fa scattare il sequestro per cinque società che hanno gestito le concessioni: la “Bet for Bet srl” di Palermo (concessione dell’Agenzia Monopoli del 2007), la “Tierre games srl” di Roma (concessione del 2014), la “Gierre games srl” di Bellizzi, provincia Salerno (nel 2015 ha inglobato un’altra società già vincitrice di un bando), la “Gaming managment group srl” di Milano (concessione del 2018), la “Lasa giochi srl” di Palermo (nel 2017 acquisita da Rubino, aveva già una concessione).

Sequestrate la “Villageintralot srls” di Palermo e le ditte individuali “Accardi Fabrizio” e “Massaro Antonio” di Palermo, che gestiscono tre centri scommesse. Sequestro anche per nove agenzie scommesse che fanno capo agli indagati, si trovano fra Palermo, Napoli e provincia di Salerno. 

L’indagine

Ecco dunque perché Cosa nostra siciliana è tutt’altro che alle corde nonostante arresti e processi degli ultimi anni. Perché il flusso enorme di liquidità consente il mantenimento della struttura criminale, come fosse una vera e propria azienda. E se uno dei capi-manager viene arrestato, se ne nomina uno nuovo. E’ una Cosa nostra tornata ad avere una spiccata vocazione imprenditoriale, la stagione delle stragi è ormai archiviata. Un ritorno agli anni Settanta, all’epoca le famiglie palermitane Inzerillo e Bontate raccoglievano le quote fra tutti i clan per investire in un grande casinò a Las Vegas. Vecchia passione quella del gioco.

Adesso l’ultima indagine conferma che “gli interessi affaristici di Cosa nostra sono sempre più spesso trasversali – dice il colonnello Angelini – travalicando i confini territoriali che delimitano le aree di influenza delle singole famiglie. Ecco perché è imprescindibile un approccio altrettanto trasversale nell’azione di aggressione patrimoniale, indispensabile per disarticolare economicamente l’organizzazione mafiosa”. Maniscalco non aveva un ruolo di comando di comando in Cosa nostra, ma era il “garante – così lo definiscono gli inquirenti – degli interessi di Cosa nostra nel gioco, nonché il trait-d’union con i mandamenti di Pagliarelli, Porta nuova e Brancaccio”.

La prima società

L’acquisto della prima concessione, nel 2007, segnò l’inizio di una grande scalata per i boss. La “Bet for bet” ha dichiarato nel 2013 un volume d’affari di 8 milioni di euro. Nel 2014, di 27 milioni. Nel 2015, 62 milioni. Intanto, Maniscalco e Rubino avevano deciso di puntare anche su altre società, per evitare di attirare troppo l’attenzione. In realtà mai nessuno ha posto problemi a Rubino, che ha accresciuto sempre più le sue relazioni nel settore delle scommesse. Tanto di diventare nel 2008 anche un procacciatore di agenzie per conto di Snaitech, una delle più importanti aziende concessionarie dei Monopoli.

I summit

Determinante è stata anche la microspia piazzata dagli investigatori del Gico in un falegnameria di via Emiliani Giudici: lì, si svolgevano i summit fra i manager e i boss. Un giorno di due anni fa, arrivò anche Settimo Mineo, l’anziano di Cosa nostra che aveva avuto l’incarico di ricostituire la commissione provinciale di Palermo, la Cupola. Fu chiamato in causa perché si era determinato un contrasto fra Rubino e i Camilleri, che volevano uscire dalla società. Non ci si metteva d’accordo sulla cifra da restituire. Intervenne l’anziano boss per dirimere la questione. Dando ragione a Rubino e Maniscalco. 

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