Descalzi: il risveglio dell’economia? I segnali già ci sono. La sostenibilità aiuterà la ripartenza

Si ricomincia da capo?
«Fortunatamente no, è una transizione iniziata nel 2014 e che in queste settimane ci porterà a essere una compagnia unica nel panorama mondiale. Non vede cosa sta accadendo nel mondo?»

Sì, purtroppo.
«Il prezzo in vite umane che stiamo pagando è elevatissimo. E a loro dobbiamo anche il fatto di dover spingere la ripresa. Evitare la crisi economica e sociale».

Quanto è profonda questa crisi?
«Le do due numeri: tra marzo e aprile la mobilità ha visto riduzioni del 90% nel weekend e del 70 durante la settimana. Per l’industria lo stop è significato una riduzione dei consumi energetici del 20-25%. Tantissimo ma recuperabile».

E adesso?
«La Cina ha ripreso a viaggiare all’80-85% della sua capacità. Francia e Germania hanno avuto una frenata simile a quella italiana. Ma c’è una buona notizia».

Ce la dica subito…
«Pensavamo che il risveglio dell’economia arrivasse a fine giugno, già adesso vediamo una confortante ripresa. Il prezzo del petrolio attorno ai 40 dollari al barile è un indicatore. Un livello che però fa seguito ai minimi da 19 dollari. Non sbagliavamo quando nel 2014 decidemmo di cambiare strategia puntando ad attutire il più possibile gli effetti della volatilità, del su e giù dei prezzi. Perché, vede, l’energia per un Paese come il nostro ma anche per l’Europa è al cuore dell’economia».

Eppure non se ne parla. In Italia il dibattito è sulle infrastrutture, sul digitale…
«È anche normale, sono quegli investimenti che aiutano la ripresa. Ma hanno bisogno di energia, in grande quantità, a costi competitivi e rispettando l’ambiente, anzi puntando al suo miglioramento».

Tutti dicono così…
«Sì, ma siamo gli unici ad aver avviato una trasformazione così radicale. E possiamo farlo perché abbiamo iniziato nel 2014 quando nel discorso di Natale ai dipendenti lanciai la prima onda di cambiamento sulle tematiche verdi che è significato 4 miliardi di investimenti negli ultimi sei anni. Ma pensi solo ai rifiuti».

I rifiuti? Perché?
«Nel 2015 abbiamo immaginato che in un Paese che non produce risorse primarie sarebbe stato un plus trasformare i rifiuti urbani in olio combustibile decarbonizzato, in biocarburante. Come pure le plastiche, polimeri complessi, in idrogeno o metanolo. Se ci apprestiamo ad avere impianti per assorbire rifiuti organici di 6 milioni di persone trasformandoli è perché abbiamo anticipato i cambiamenti».

È facile dire prodotti decarbonizzati, senza la dannosa C02, concretamente che significa?
«Sono i cosiddetti prodotti blu, elettricità blu, idrogeno blu, o il gas che saremo in grado di produrre catturando la C02 e stoccandola in giacimenti esauriti. Quello che facciamo con il gas da 70 anni e che la Norvegia fa da 10 con la C02 appunto. Si tratta di fornire prodotti come il biometano decarbonizzato che arriva dai biogas dell’agricoltura, e poi tutta la parte di biomasse digitali, grassi animali invece del petrolio».

Ma scusi non è meglio affidarsi direttamente a fonti rinnovabili, come sole, acqua, vento? «Ci sono anche quelle in Eni. Ma si tratta di fonti che attualmente hanno un’efficienza bassa. Sono intermittenti e quindi non in grado di soddisfare la grande fame di energia di cui tutti i Paesi sviluppati e in via di sviluppo hanno bisogno. Per questo abbiamo bisogno di una piattaforma che vada dalle bioraffinerie ai prodotti green e blu appunto».

Questo sinora…
«E adesso cambiamo ancora. Se vogliamo come ci siamo impegnati a tagliare dell’80% le emissioni assolute nette entro il 2050, abbiamo bisogno di un vestito diverso».

E sotto il vestito cosa c’è?
«C’è il fatto che saremmo sempre più vicini ai clienti, ai 9 milioni contrattualizzati, destinati a superare i 20 milioni, ai quali forniamo servizi, e a quel 25% di mercato retail che fa affidamento sui prodotti Eni per la mobilità».

La ricerca che fine fa?
«Ricerca ed esplorazione rimarranno, ma dal 2025 la produzione diminuirà progressivamente, con una incidenza sempre maggiore del gas naturale, la più pulita delle fonti fossili, e sempre minore del petrolio. Per questo abbiamo costituito due divisioni: la prima, natural resources, si occuperà di rendere sempre più sostenibile il portafoglio di gas e petrolio, dell’efficienza energetica e delle tecnologie per la cattura e rimozione della C02. La seconda: energy evolution , che sarà quella più vicina ai clienti, la rete che si occuperà di trasformazione e vendita di prodotti sempre più bio, blu e green. Prodotti per un mercato europeo e mondiale ma anche destinati a rendere l’Italia sempre più autonoma e indipendente dall’estero».

Basterà a evitare azioni come quella della Bp che manda a casa 10 mila persone?
«Nei nostri programmi sì. Sono le competenze, i saperi, le conoscenze attuali e da creare, in poche parole le persone che fanno l’Eni. Sono loro che hanno reso possibile il cambiamento. E noi non vogliamo rinunciarci».

CORRIERE.IT

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