Zona rossa ad Alzano e Nembro, Conte irritato: «Fatta la scelta più rigorosa, Fontana aveva pieni poteri»
Ma decidono di prendere ancora tempo. «Ormai — spiegherà il premier durante l’interrogatorio di domani — la situazione era critica in tutta la Regione e quindi era indispensabile capire se limitare il regime della “zona rossa” a questi due soli Comuni oppure estenderlo a tutta la Regione». Una linea che però non fu condivisa da Brusaferro. La decisione dei pm di convocarlo nasce proprio da quanto accade due giorni dopo. Il 5 marzo il professore invia infatti una nota scritta a palazzo Chigi per evidenziare che «pur riscontrandosi un andamento della curva epidemiologica simile ad altri Comuni della Regione Lombardia, i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedimento per inserire Alzano Lombardo e Nembro nella “zona rossa”». Una determinazione sulla quale diventa importante il giudizio di Walter Ricciardi, diventato intanto consulente del ministero della Salute per volere di Speranza.
Il Viminale
In quelle stesse ore al Viminale scatta il preallerta, quando si creano «zone rosse» si deve infatti valutare il potenziamento dei reparti di forze dell’ordine sul territorio per garantire il «cinturamento» dell’area. E dunque toccherà oggi a Lamorgese chiarire la natura delle consultazioni con la prefettura di Bergamo. Partendo da un dato che lo stesso Conte ha già chiarito pubblicamente: «Dopo aver consultato il comitato scientifico, è maturato l’orientamento di superare la distinzione tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione, che prevedesse la distinzione del territorio nazionale in due sole aree: da una parte, l’intero territorio lombardo, oltre alle 13 province di altre Regioni, che diventavano “zona rossa”; dall’altra, la restante parte del territorio nazionale, al quale si applicavano misure di contenimento meno rigorose». Lamorgese dovrà consegnare ai pubblici ministeri anche le ordinanze che proprio in quei giorni furono trasmesse a prefetti e questori per potenziare il controllo del territorio ed è possibile che le sarà chiesto di ricostruire l’iter seguito per inibire la circolazione a Codogno il 23 febbraio. In quel caso — che presenta analogie con quanto accadde poi in altri Comuni — si decise infatti di impiegare le forze dell’ordine per chiudere i varchi di accesso non escludendo di far partecipare anche l’esercito ai servizi di vigilanza. Provvedimenti che certamente devono essere presi dal governo.
La Regione
Ai magistrati Conte ribadirà che in quei giorni ci furono «costanti contatti» con i vertici della Lombardia e spiegherà che «tutto fu fatto d’accordo». Sottolineerà che «la notte del 7 marzo ci furono richieste di parere dei governatori e soltanto dopo aver sentito anche i ministri competenti si decise di procedere con il decreto» che chiudeva la Lombardia. Quando la situazione diventa drammatica e le vittime nella Bergamasca sono centinaia, si apre lo scontro tra le istituzioni. Una polemica non sopita e alla quale Conte ha sempre ribattuto sostenendo che poteva essere il governatore a procedere. Lo ripeterà durante l’interrogatorio elencando «le varie ordinanze con misure restrittive che la Lombardia ha adottato il 21, il 22 e il 23 marzo 2020». E per questo sosterrà che «nessuna contestazione può essere mossa al governo visto che anche altre Regioni, come il Lazio, la Basilicata e la Calabria hanno creato “zone rosse”».
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