Giù le mani da Montanelli, uomo libero
È il moralismo, cosa ben diversa dalla morale, a produrre quella tragicommedia del nostro tempo che è il politicamente corretto. E allora, molto più semplicemente, dovremmo chiederci: ma Indro Montanelli è degno o no di essere ricordato anche con un monumento e con l’intitolazione di un giardino pubblico? La sua vita – la totalità, la complessità della sua vita – è degna oppure no di essere additata ad esempio? E voglio vedere chi oserebbe dir di no. Montanelli è stato, intanto, il più grande giornalista italiano del Novecento. E se proprio vogliamo usare il metro anche della morale, dobbiamo ricordare che Indro ruppe con il fascismo quando Mussolini era all’apice del potere e del consenso.
Scrivendo dal fronte della guerra civile spagnola quel che il regime non voleva che si sapesse, Montanelli fu licenziato dal giornale per il quale lavorava (Il Messaggero) ed espulso dall’Albo dei giornalisti. Quanto alla tessera del partito, pensò lui stesso a stracciarla. Se ne dovette andare all’estero, e quando in Italia cominciò la Resistenza, non esitò ad aderirvi, finendo poi a San Vittore, prigioniero dei tedeschi che lo condannarono a morte. Ma, finita la guerra, non cercò mai di lucrare sulla militanza partigiana come fecero in molti, compresi quelli che il partigiano non lo avevano mai fatto. La carriera che fece, la fece esclusivamente grazie al talento e alla scelta di andare sempre controcorrente. Fino a guadagnarsi le pallottole delle Brigate Rosse e il licenziamento da parte di Berlusconi. Montanelli non ha mai stazionato sul carro dei vincitori, e questo basterebbe per indicarlo come modello di giornalismo. Negli ultimi anni, per spiegare perché non se la prendesse più con i comunisti, ripeteva spesso che “le battaglie si fanno contro i vivi, non contro i morti”. Ecco, il fatto che qualcuno oggi combatta ancora contro di lui è la miglior testimonianza che Indro Montanelli è ancora vivo, a differenza di tanti sentinelli.
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