Coronavirus, l’infettivologo: attenti ai focolai. “Ma non c’è una seconda ondata”
Ma adesso la maggior parte dei positivi è asintomatica.
“Il discorso degli asintomatici è complesso. È vero, però, che il
fenotipo della malattia è cambiato. I nuovi infetti che sono
asintomatici e si ricoverano per altre malattie, non la polmonite.
Questo va studiato”.
Guardandosi indietro ritiene sia stato indispensabile il lockdown o bastavano alternative restrittive meno choc?
“Sono convinto che sia servito. Si poteva discutere sulla chiusura della scuola, ma la serrata ha prodotto risultati”.
L’Italia ha riaperto alla socialità da oltre un mese: i risultati sembrano buoni. Solo la Lombardia fatica ancora.
“Serve tempo per dirlo. La riapertura del 3 giugno in Lombardia lascia
perplessi: dovevano aspettare. Sono il cuore economico e ho grande
rispetto per le vittime, ma serviva più cautela”.
La categoria degli esperti scienziati quanto è colpevole nell’aver spaventato in modo esagerato le persone?
“La gara del protagonismo mediatico ha travolto gli esperti, serviva
più prudenza. Troppo spesso ho sentito esperti o presunti tali, direi
opinionisti, competere a chi la diceva più grossa. Non dobbiamo lisciare
il pelo alla paura, ma essere prudenti. Non si possono dare indicazioni
da verificare, come se fossero certe. C’è stata troppa presunzione”.
Il Comitato tecnico scientifico aveva detto “con la riapertura totale si rischiano 150mila in terapia intensiva”. Siamo a 209 oggi.
“Se ha fatto questa previsione, ha sbagliato: anche loro devono farsi un esame di coscienza. Hanno una grande responsabilità verso la comunità, devono usare misura e prudenza. Ma c’è un altro fallimento: l’Italia non è stata in grado di aggregare medici e ricercatori per realizzare studi sperimentali, ad esempio sul plasma. L’aspetto positivo, però, è che che l’epidemia sta scemando”.
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