Giustizia, Di Matteo: “Le correnti? Metodo mafioso seguire l’appartenenza per le nomine”



Stavolta Di Matteo mette in guardia i colleghi dal rischio che la magistratura possa rischiare una riforma che la metta sotto “il controllo della politica”. Tant’è che dice: “La valutazione del lavoro di un magistrato o le nomine fatte per incarichi direttivi nei confronti di un magistrato condizionate da un criterio dell’appartenenza sono assolutamente inaccettabili”.

Come se ne esce? “Dobbiamo trovare la forza, necessariamente a tutti costi, di invertire per primi la rotta, prima che invece qualcuno possa approfittare di questa situazione di difficoltà e di mancanza di credibilità della magistratura, per fare riforme che hanno uno scopo che non possiamo mai accettare, quello di sottoporre di fatto la magistratura a un controllo da parte del potere politico”. Ovviamente Di Matteo non fa alcun riferimento esplicito alla riforma del Csm su cui sta lavorando il Guardasigilli Alfonso Bonafede, ma è chiaro che si sta parlando di quella.  

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di LIANA MILELLA
Scarcerazioni “devastanti”
Molto duro anche il giudizio del magistrato antimafia sulle oltre 200 scarcerazioni di mafiosi avvenute tra marzo e aprile. “Il segnale è devastante dal punto di vista simbolico, e comunque è idoneo il ritorno a casa a produrre effetti concreti pericolosi per il futuro. Un mafioso anche al 41 bis si industria sempre per cercare di fare arrivare, soprattutto se è un capo, le direttive fuori dal carcere ai suoi”. E aggiunge: “Figuriamoci se quel mafioso ha avuto la possibilità di tornare a casa”.

Palamara e Di Matteo fuori dal pool sulle stragi
L’ex pm parla anche di Palamara e racconta di aver scoperto dalle carte di Perugia il giudizio dell’ex pm su di lui e sulla sua estromissione dal pool sulle stragi quando era in quota alla Procura nazionale antimafia:  “Ho verificato dagli atti di Perugia che il dottor Palamara, prima che avvenisse questa esclusione, si era, diciamo, lamentato del fatto che io facessi parte di questo gruppo. E nel momento in cui venne resa nota la mia estromissione, accolse la notizia, diciamo, con molta soddisfazione. Non devo essere io a dire cosa penso”.

Abbandonato da Csm e Anm
Di Matteo non riesce a dimenticare di non aver avuto la solidarietà “né dell’Anm, né del Consiglio superiore della magistratura” che “dimostrarono un pericoloso collateralismo politico” quando lui e i suoi colleghi impegnati nell’inchiesta per la trattativa Stato-mafia furono attaccati per le intercettazioni in cui era stato coinvolto l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Quando partì questa indagine – dice Di Matteo – molti pensavano che fosse frutto di una costruzione, di un teorema politico di magistrati un po’ fantasiosi. Nel tempo molti si resero conto che l’indagine si riferiva a fatti concreti, che non era frutto di una fantasia, adesso oggetto di una sentenza di primo grado e prima ancora di un decreto di rinvio a giudizio”.

Ma Di Matteo parla soprattutto di quando esplose il caso delle intercettazioni: “C’è stato un momento in cui, soprattutto dopo la vicenda delle intercettazioni che erano state legittimamente disposte dal gip su nostra richiesta per le utenze in uso al senatore Mancino e alla registrazione di alcune telefonate con il presidente Napolitano, che a noi è stato detto di tutto, siamo stati definiti ricattatori del capo dello Stato, eversori. Quando morì il compianto dottor D’Ambrosio ci chiamarono assassini. In quell’occasione, rispetto a ingiurie e calunnie, non ci ha difeso nessuno. Né l’Anm, né il Csm, che in quel momento dimostrarono un pericoloso collateralismo politico schierandosi per motivi di opportunità dalla parte del potere politico”.

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