Il patto (tacito) tra Conte e Renzi
di Francesco Verderami
ROMA — Sostiene Conte che dopo Palazzo Chigi sarà «contento» di tornare a fare l’avvocato: l’aveva detto giusto un anno fa, quando Salvini si preparava a togliergli la fiducia. In realtà il premier ha altri progetti, molto più ambiziosi, e pur di realizzarli ha stretto un patto con Renzi.
Non c’entrano le nomine o i posti di governo, la strana coppia si ritrova (momentaneamente) alleata con l’obiettivo di sabotare la riforma proporzionale concordata da M5S e Pd. «È tutto molto divertente», si schermisce il capo di Italia viva, che una settimana fa ha rispolverato la vecchia idea del «sindaco d’Italia» per esplicitare la sua ostilità al Germanicum, partorito dall’accordo tra Di Maio e Zingaretti. Ora, ha ragione Franceschini quando rammenta che «l’intesa sulla legge elettorale fa parte del patto di governo». Ma venne stipulato quando Iv ancora non esisteva. E dunque per Renzi quel «patto» va rivisto, siccome il proporzionale con soglia di sbarramento al 5% lo relegherebbe nella prossima legislatura ai margini del Parlamento, con pochi seggi per «diritto di tribuna».
L’attuale sistema maggioritario gli garantirebbe invece un forte potere contrattuale, perché con i suoi voti potrebbe risultare determinante nella sfida dei collegi con il centro-destra, e quindi potrebbe far pesare il ruolo di «utilità marginale» del suo partito nella trattativa con gli alleati.
È a questo bivio che la strada di Renzi ha incrociato quella del premier, ambiguo ogniqualvolta deve sopire le voci su una sua futura lista: per spazzare definitivamente il campo dai boatos (qui i sondaggi su un eventuale «partito di Conte») basterebbe un richiamo al «patto» che gli ha permesso di trasformarsi da Conte 1 in Conte 2. Se non lo fa, è perché così perderebbe d’incanto il potere contrattuale che gli permette di restare a Palazzo Chigi oggi, e di puntare domani persino al Quirinale.
Pages: 1 2