Il patto (tacito) tra Conte e Renzi



D’altronde fu lui a confidare le sue aspirazioni mesi fa al ministro per gli Affari europei, durante un viaggio a Bruxelles: «Me lo verranno a chiedere», gli sussurrò il presidente del Consiglio. Da allora Amendola, vecchia scuola pci, non si è più ripreso.

Di Maio e Zingaretti avevano fiutato puzza di bruciato, notando la singolare coincidenza tra la sortita di Renzi contro la proporzionale, la fine delle ostilità di Iv verso il capo del governo e la calorosa accoglienza riservata dal premier alle richieste programmatiche presentategli da Boschi. «Con lui parla lei», sorride Renzi.

E il leader del Pd aveva provato a reagire. Ce n’è la prova nella dichiarazione di dieci giorni fa del vice segretario dem Orlando: «La legge elettorale va approvata da un ramo del Parlamento entro l’estate». Sembrava un fulmine a ciel sereno, in realtà era il disperato tentativo di rispondere all’azione ostile. Ma come nella guerra dei «Sei giorni» la contraerea egiziana iniziò a sparare solo dopo che l’aviazione israeliana aveva bombardato a terra tutti gli aerei nemici, così il Pd si è reso conto di aver fatto tardi. «Di legge elettorale se ne parlerà a settembre dopo le elezioni regionali», diceva ieri compiaciuto Rosato, in nome di Renzi. E un autorevole esponente della segreteria democrat ha dovuto riconoscere come «ben che vada» la riforma verrà licenziata entro luglio «ma solo dalla commissione» alla Camera. In Aula non ci arriverà, perché al primo voto segreto il Germanicum rischierebbe di saltar per aria.

Pd e M5S hanno fatto i conti: con Forza Italia divisa e la Lega che traccheggia, la proporzionale verrebbe bucherellata dai deputati del «partito di Renzi» e da quelli del «partito di Conte», cioè quei grillini, ex democristiani e post comunisti, desiderosi di trovar riparo nella lista dell’«avvocato del popolo» che finge di voler tornare ad essere avvocato e basta.

CORRIERE.IT


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