Coronavirus, Pechino ora chiude le scuole: caccia a 200 mila infetti
TIANJIN
DAL NOSTRO INVIATO Non sembra esagerato chiamarla la Battaglia di Pechino. Perché sono le autorità politiche che ormai da giorni annunciano di aver messo «in modalità bellica», una alla volta, zone della capitale dove si sta insinuando «il nemico invisibile» coronavirus. L’ultimo ordine è rivolto agli abitanti dei distretti dichiarati a più alto rischio (almeno 6 su 16) ed è di non uscire da Pechino per alcuna ragione; vietato varcare i confini della megalopoli anche ai taxi, per evitare che qualcuno aggiri i controlli nei due aeroporti e nelle stazioni ferroviarie; sospese le linee di numerosi autobus a lunga percorrenza che collegano Pechino alle province dello Hebei e dello Shandong, di solito utilizzati dai lavoratori migranti che non hanno i soldi per i treni ad alta velocità o gli aerei. Un clima da stato d’assedio sanitario. Tanto che tutte le scuole della capitale. primarie e secondarie, sono state nuovamente chiuse mentre sono state riattivate le lezioni a distanza.
Ma chi sono e quanti sono i cittadini pericolosi in una metropoli di 22 milioni di anime? Di sicuro quelli che abitano in zone non distanti dal grande mercato Xinfadi dove giovedì scorso è stato scoperto il focolaio che ha contagiato e fatto ammalare più di cento persone (altre 27 ieri). Ma siccome Xinfadi rifornisce il 90% di Pechino, è chiaro che ci possono essere stati moltissimi contatti inconsapevoli. Impossibile censirli tutti, nonostante le app di controllo mobile sviluppate dalla tecnologia cinese e l’ipotesi che Alibaba e Tencent stiano appoggiando il tracciamento. Si dice che i due giganti dei pagamenti via smartphone stiano riversando alle autorità i dati sulle transazioni compiute dagli utenti nei diversi punti della città (ogni pechinese paga via smartphone qualunque cosa, dalla spesa al taxi, dal ristorante al cibo di strada). Alibaba e Tencent negano.
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