Coronavirus, Pechino ora chiude le scuole: caccia a 200 mila infetti
Le autorità valutano che almeno 200 mila abitanti siano venuti in contatto direttamente o indirettamente a partire dal 30 maggio con quello che è il più grande mercato alimentare di Pechino e dell’Asia. Il 30 maggio sarebbe il giorno del paziente zero del mercato, finito in ospedale giovedì scorso 11 giugno: era un venditore di verdura di Xinfadi. Ieri i malati erano diventati 106.
Cercando di rintracciare tutti i possibili infetti, sono stati eseguiti già almeno 100 mila tamponi. Quindi, un centinaio di contagiati non desterebbe un altissimo allarme in altre città del mondo in pandemia, da Tokyo a Seul, ma anche a Milano o Parigi. A Pechino però le autorità non vogliono correre rischi: l’incubo di Wuhan è ancora ben presente.
I prossimi tre giorni saranno decisivi, ha detto al tg Wu Zunyou, capo degli epidemiologi di Pechino: «Le misure di contenimento sono state tempestive e gli infettati dovrebbero manifestare sintomi entro due o tre giorni al massimo. Se i numeri si stabilizzeranno vorrà dire che abbiamo vinto».
Pechino è stordita, incredula che il nemico coronavirus si sia insinuato in città. La gente non mostra alcuna insofferenza per le restrizioni imposte. Anzi, ne invoca di più stringenti. Le autorità chiedono a chi è stato a Xinfadi nei giorni precedenti l’allarme focolaio di farsi avanti e sottoporsi a tampone e quarantena a casa. «Già, ma come si fa a credere all’onestà della gente, bisogna costringerla la gente» ci ha detto per telefono un abitante del distretto di Chaoyang, dove ci sono stati solo un paio di casi. E ha concluso: «Visto che siamo in “modalità di guerra” le autorità dovrebbero imporre qualsiasi cosa».
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