Fondi Ue: l’Italia riesce a spendere solo 1 euro su 3. Brutta notizia in vista del Recovery Fund

Tutto bene, dunque? Non proprio. Sull’uso corretto dei fondi e sui rischi di appropriazione indebita, il capo del governo ha voluto essere rassicurante: “Stiamo riformando il paese, stiamo attuando riforme strutturali. Ma inseriremo un protocollo ancora più duro contro la mafia e il crimine”, ha detto il premier. Un eccesso di preoccupazione? No, in effetti i fondi europei hanno scatenato vasti appetiti della criminalità in passato. Molti ricorderanno che in Slovacchia nel febbraio 2018 venne barbaramente ucciso il giovane giornalista Jan Kuciak e la sua fidanzata. Kuciak si era occupato ed investigato sui casi di corruzione e soprattutto degli interessi della ‘ndrangheta calabrese nella gestione dei fondi europei destinati che alla Slovacchia. Il giovane e sfortunato giornalista investigativo slovacco aveva rivelato i legami occulti tra alcuni personaggi e leader politici ma aveva sottovalutato la spietatezza dei clan che non avevano esitato ad eliminarlo quando avevano temuto di essere scoperti.

Il curriculum italiano sui fondi non brilla

Come è riuscita l’Italia a gestire e spendere i fondi del bilancio Ue? Vediamo il passato per capire cosa ci aspetta in futuro: se si guarda il sito della Ue sui fondi strutturali e investimenti o European Structural and Investment Funds si può verificare che ad oggi l’Italia su 75 miliardi di euro stanziati a suo favore dal bilancio 2014-2020 ne ha decisi 54 miliardi con progetti pari al 73% del totale e spesi solo 26 miliardi pari al 35% del totale.

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La Svezia per esempio ne ha processati e decisi l’88% del totale e spesi fondi pari al 58%, la prima della classe seguita dalla Polonia con l’86% decisi e il 41% spesi, la frugale Olanda che non si lascia scappare l’occasione di usare fondi europei e ne ha decisi il 92% e spesi il 46%. La Germania ne ha decisi l’85% e spesi il 47% mentre la Francia ne ha decisi l’81% e spesi il 59% del totale. Meglio di noi anche la Grecia con l’87% dei progetti decisi e il 35% spesi. Peggio dell’Italia solo la Romania con il 97% decisi e il 34% spesi, e la Spagna con il 71% decisi e il 33% spesi. Con questo poco invidiabile curriculum siamo già nelle posizioni di coda nella speciale classifica di chi sa usare meglio i fondi europei. Un record negativo preoccupante.

Ci sono problemi legati alla riforma del titolo Quinto della Costituzione che ha reso confusi i ruoli e le competenze tra Regioni e governo centrale. Inoltre ci sono altri due ulteriori problemi da risolvere con urgenza: assorbiamo come paese in percentuale pochissimo e più che altro non siamo capaci di farlo nei primi due anni dalla disponibilità dei fondi. Due anni che sono in questa fase di post-Covid 19 quelli che ci servono subito per sopravvivere e poi ripartire.

La deroga di Ursula

Il 19 marzo scorso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, preso atto delle difficoltà che l’Italia aveva dimostrato nel progettare e poi spendere i finanziamenti europei è corsa in soccorso al Bel Paese concedendo una deroga speciale. “Abbiamo un’iniziativa per gli investimenti. Poiché ci sono fondi strutturali inutilizzati che l’Italia avrebbe dovuto restituire, abbiamo deciso invece di lasciarveli, per spenderli dove saranno più utili. Per esempio sul mercato del lavoro. Sono undici miliardi”. Massima flessibilità per l’Italia dunque.

“È importante – ha spiegato la Von der Leyen – perché così l’Italia potrà investire nella sanità, nel turismo, nei trasporti, a beneficio delle Pmi”. I Paesi Ue infatti potranno riprogrammare i fondi della politica di coesione che sarebbero andati persi verso settori prioritari come la sanità e il supporto alle imprese. Inoltre grazie alle nuove norme, i Paesi potranno chiedere di non essere obbligati a rispettare l’obbligo di cofinanziamento nazionale e di allocazione regionale.

Ma come è potuto accadere che l’Italia nel bilancio 2014-2020 non avesse ancora usato 11 miliardi di euro che rischiavano di tornare nelle casse di Bruxelles a causa della regola N+3, cioè dove N è l’anno di riferimento e il tre sono gli anni in cui si devono spendere i soldi. L’Italia non riesce a spendere perché le Regioni spesso non riescono a fare progetti nei tempi e presentarli a Bruxelles con competenze adeguate per dimostrare che verranno realizzati nei tempi. C’è un problema di capacità e competenze sulle politiche pubbliche e di farraginosità della normativa italiana in materia di appalti che ritardano i lavori.

Che fare, dunque?

Occorre migliorare i risultati del passato perché poco lusinghieri da come si evince dai grafici: praticamente l’Italia riesce a spendere un euro su tre dei fondi Ue messi a disposizione: un risultato deludente. Che fare allora? Già il governo Letta nel 2013 cercò di porvi rimedio e poi anche il governo Renzi tentò di migliorare la performance ma nonostante gli sforzi spesso i soldi non spesi nei tempi previsti tornarono nelle casse a Bruxelles. Non solo. L’Italia ha avuto problemi di fondi distratti e truffe in maniera preoccupante. Anche qui bisognerebbe intervenire. Uno dei più profondi conoscitori del tema è Fabrizio Barca, economista, presidente del Comitato per le politiche territoriali dell’OCSE dal 1999 al 2006 e nel 2012 ministro per la coesione territoriale del governo Monti, che in passato aveva ottenuto risultati lusinghieri sull’utilizzo dei fondi Ue.

Alcuni commentatori suggeriscono al governo di formare una task force di esperti collaudati presso la presidenza del Consiglio dei ministri con l’incarico di coordinare un team di giovani capaci di verificare e assistere il processo di finanziamento nelle sue varie fasi così da evitare gli insuccessi del passato. Altrimenti si rischia la beffa di avere finalmente accesso ai fondi Ue ma non riuscire ad spenderli e a rilanciare l’economia in ginocchio.

BUSINESS INSIDER

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