M5S “indaga” su Bonafede
“Sono nervosi, queste audizioni non le volevano fare…”. È dal cuore del Movimento 5 stelle che arrivano segnali di disagio legati al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Raccontano di telefonate su telefonate di preoccupazione e pressioni sulla sfilza di audizioni che nella commissione Antimafia si stanno susseguendo per fare luce sulle eventuali zone d’ombra intorno alla rivolta nelle carceri e sul successivo ok ai domiciliari per centinaia di detenuti in regime di massima sicurezza.
Tra le molte verità di questa storia, è stato Nino Di Matteo a mettere le carte in tavola. “C’erano state delle rivolte che, dall’esterno, ho pensato che potessero essere organizzate a un livello più alto di quelli che salgono sui tetti. Poi sono conseguite le scarcerazioni”, ha detto in audizione. Il passaggio logico è abbastanza chiaro, ma non serve andare per deduzioni perché il magistrato di Palermo ha serenamente proseguito: “Mi preoccupava sostanzialmente il dato di una sostanziale analogia tra quanto avvenne nel 1993, quando ci furono stragi in contemporanea a Roma e Milano tanto da far ritenere al presidente del Consiglio che era in corso un colpo di Stato. Sappiamo che vennero fatte in funzione di un ricatto allo Stato per alleggerire il 41-bis e far piegare le ginocchia alle istituzioni”.
Le domande che alcuni fra i 5 stelle hanno iniziato a porsi dopo le parole di Di Matteo sono le seguenti: c’è stata una trattativa da parte dello Stato con pezzi di criminalità organizzata per ottenere le scarcerazioni in epoca di Covid-19? Chi è stato l’interlocutore alla cui porta è stato bussato? Le reazioni dei boss sulla sua nomina hanno portato a quello stop? È la stessa dinamica intercorsa per le scarcerazioni?
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