Coronavirus, il 41% degli italiani pensa di non vaccinarsi

Dalla ricerca non emergono particolari accentuazioni sulla base della professione: i pensionati e gli studenti si confermano meno diffidenti verso il vaccino, più esitanti gli operai e impiegati, e imprenditori nella media».

Ma se a dividere gli italiani sulla vaccinazione anticovid non è il territorio e non è nemmeno tanto lo status economico e sociale, la psicologia invece sembra contare. «È così. Infatti Se confrontiamo le percentuali di chi è poco propenso a vaccinarsi fra i diversi sottogruppi del campione, si nota che chi è fatalista nella “gestione” della salute, e ritiene che il rischio di contagio da Sars-CoV-2 sia fuori dal suo controllo, è ancora più esitante rispetto alla possibilità di vaccinarsi (57% contro il 41% del totale). Mentre al contrario chi è più “ingaggiato”, cioè coinvolto attivamente nella gestione della propria salute, risulta più positivo e propenso verso la somministrazione del vaccino», ragiona la psicologa.

Ma a fare la differenza è anche la considerazione della vaccinazione come atto di responsabilità sociale. «E’ così – dice Graffigna – Chi ha un approccio più individualista ed egoista nei confronti della gestione della salute e non ritiene che vaccinarsi sia un atto di responsabilità sociale tende a essere ancora più evitante verso l’ipotesi di un futuro programma vaccinale per Covid-19: parliamo di un 71% contro il 41% del totale. Al contrario, decisamente più propensi della media sono coloro che ritengono che i loro comportamenti abbiano un valore importante per la salute collettiva».

«Questi dati sono un campanello d’allarme di cui tenere conto – è la riflessione di Graffigna – soprattutto perché segnalano la necessità di iniziare sin da subito una campagna di educazione e sensibilizzazione per aiutare a comprendere l’importanza di vaccinarsi contro la Covid19. Non si tratta solo di diffondere informazioni o di combattere fake news sui vaccini ma di mettersi nei panni di coloro che vanno formati, e cioè partire dalle loro preoccupazioni e aspettative di conoscenza e dalle loro domande per aprirsi a un dialogo costruttivo tra scienza e cittadinanza finalizzato a rassicurare e a sostenere il cambiamento profondo di atteggiamento. Ciò che va sostenuto, prima ancora di un atteggiamento positivo verso i vaccini, è la maturazione di un migliore coinvolgimento attivo, di engagement, verso la salute e la prevenzione – conclude la responsabile dello studio -, che passa dalla comprensione di come ogni nostra azione preventiva sia un atto di responsabilità sociale verso la salute della collettività».

Ma la psicologia è mutevole, e quella sociale in particolare. Non potrebbe quindi essere che gli italiani che oggi si dichiarano poco o affatto propensi a vaccinarsi, quando il vaccino sarà finalmente disponibile cambino idea? Non sarà, insomma, che quando sarà reale la possibilità di ricominciare a scandire le nostre esistenze in settimane, mesi e stagioni e non più in fasi 1, 2 eccetera, quei 4 italiani su 10 il vaccino se lo faranno come gli altri 6? «Certo, le opinioni possono cambiare, anzi devono cambiare in questo caso – è la risposta dell’esperta – . Ma i nostri dati sono importanti per le istituzioni che dovrebbero rendersi conto che il dibattito intorno al Covid, anche il dibattito economico, sta disorientando la popolazione che perde fiducia, pure nei confronti del vaccino. Dall’incrocio dei dati che abbiamo raccolto risulta che gli italiani che non vogliono vaccinarsi percepiscono che la vaccinazione non sia efficace per risolvere il problema Covid. Il fatto è preoccupante perché sappiamo che l’immunità di gregge si ottiene quando circa il 95% dei soggetti è immunizzato»

REP.IT

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