Gli Stati Generali sono finiti: e ora? Ecco i piani emersi dal confronto
di Federico Fubini
Cosa resta dopo gli Stati generali? Domenica 21 giugno, al termine di 9 giorni di lavoro, Giuseppe Conte — dallo splendido giardino di Villa Pamphilj — ha detto che servirà un altro po’ di tempo per capirlo. Il governo si prende un’altra settimana per riflettere a quanto è stato detto e iniziare a distillare «un piano».
Quest’ultimo a sua volta costituirà l’embrione della versione nazionale del Recovery Plan, che l’Italia intende presentare a Bruxelles a settembre per avere accesso dal 2021 a risorse europee per più di 100 miliardi per investimenti.
I due piani
La prima lezione degli Stati generali è che da ora in poi tutti — governo incluso — dovremmo fare uno sforzo nel non confondere due piani diversi: c’è la gestione immediata della crisi e c’è la ricostruzione dei prossimi anni. Il Recovery Plan non fa parte della prima, ma della seconda missione e non sarà sicuramente uno degli strumenti con i quali navigare attraverso la recessione nei prossimi mesi. Perché l’Italia arrivi ai soldi del Recovery Plan, esso dovrà contenere idee solide sulla riforma della pubblica amministrazione e della giustizia, non solo piani dettagliati di investimento.
L’ipotesi di ridurre l’Iva
La gestione della crisi riguarda invece problemi come il sostegno al reddito di chi non sta lavorando, le garanzie e le moratorie bancarie, il sostegno finanziario agli enti locali. Riguarda anche, da qual che è parso di capire dalle parole di Conte di domenica (poi precisate lunedì, quando il premier ha parlato di un abbassamento «lieve e temporaneo»), una possibile riduzione in tempi rapidi dell’Iva — l’imposta sul valore aggiunto — che grava sul costo di beni e servizi. Dunque gli Stati generali si sarebbero occupati dell’uno e dell’altro fronte, gestione dell’emergenza e rilancio. Ma quali sono le prospettive? Tasse e ripresa
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