10 moventi per Bonaccini segretario Pd
- Maurizio Guandalini Giornalista, editorialista di Metro e saggista
1) Il lockdown del Pd. Il partito più influente della coalizione di governo, il Pd, ha il ruolo di avvocato difensore del premier. Il ministro dell’Economia con i più ampi poteri di spesa della storia repubblicana, il piddino Gualtieri, è rinchiuso nel ruolo inanimato di ragioniere. Gli esponenti di punta di governo e del partito, dalla De Micheli a Misiani, ripetono nei vari talk e tg una cantilena spesso noiosa di quello che il governo ha fatto ma che immediatamente viene sconfessato da coloro che non hanno ricevuto la cassa integrazione o che hanno difficoltà a ottenere assistenza economica. Sarebbe bastato un decimo della sana propaganda del bonus 80 euro di Renzi a riassestare l’immagine.
2) Il Pd non può dipendere dal capodelegazione. Il capodelegazione del Pd al governo, Franceschini, navigato politico, è caricato oltremisura di missioni che poi devono fare i conti dall’assenza di leadership, o meglio di consenso sia dentro che fuori il partito (ricordiamo che non è stato in grado di farsi eleggere nel collegio di Ferrara, sua città natale). La sua preziosa golden share è carente della scuola democristiana vecchio stampo che prevedeva, poco o tanto, quel consenso di popolo necessario per direzionare nuovi equilibri e mediazioni all’interno del partito di appartenenza.
3) Cercasi leadership disperatamente. Il Pd è sguarnito di un capo. Dopo Renzi il vuoto. Si è scelto un vocabolario desueto, prima, della “transizione”, con Martina, e poi con un congresso frutto dello slogan, mai esplicitato, ‘tutto fuorché Renzi’ e così i piddini si sono ritrovati al punto di partenza. Il partito, sul territorio, è ai minimi termini affidato, dove è possibile, all’immagine guida dei sindaci o dei presidenti di regione, quei pochi rimasti.
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