Pietro Senaldi smaschera la mossa taglia-Iva di Conte: “Solo una finzione per tentare di copiare Angela Merkel”
La discussione sull’Iva è l’appendice degli Stati Generali, una finzione per far durare la festa anche dopo la chiusura del locale. Chi pensa davvero che il taglio ci sarà, si illude. Esso non figura nel programma di nessuno dei partiti che sostengono il premier, e neppure in quello di chi non lo sostiene. Per di più, non lo vogliono gli industriali, ma forse questa è l’unica ragione vera per la quale Conte lo propone, allo scopo di dividere imprenditori e commercianti. Non solo. Il paventato taglio rinnegherebbe la politica economica portata avanti finora dalla maggioranza, anche se solo a parole, tutta volta ad abbassare la tassazione sul lavoro e spostarla dalle persone alle cose. Oltre che politicamente, il ritocco al ribasso dell’imposta sul valore aggiunto è anche difficilmente percorribile sotto l’aspetto economico. Il premier non ha buoni consiglieri. Qualcuno lo ha convinto che portare dal 22% all’11 l’aliquota massima costerebbe una decina di miliardi. Lui, non avendo dimestichezza con i numeri, ha abboccato illudendosi che il provvedimento costerebbe quanto gli 80 euro di Renzi o il reddito di cittadinanza. Ma se davvero fosse così, già altri prima di lui avrebbero percorso questa strada.
VERSO LA DEFLAZIONE
La realtà smonta le fantasie di Conte. Gli studi sulle clausole Iva
sottoscritte dal governo Letta stimano in 4-5 miliardi il valore di ogni
punto percentuale dell’imposta. La riduzione sarebbe quindi possibile
solo nella misura di un paio di punti percentuali, non sufficiente per influire sui consumi,
soprattutto in una fase economica in cui non c’è inflazione; anzi, dove
siamo alle soglie della deflazione. Per ottenere effetti sensibili,
l’operazione dovrebbe costare 50 miliardi, somma assolutamente non nelle
disponibilità dell’esecutivo e che, se impiegata nella riduzione delle
imposte dirette, avrebbe conseguenze esponenzialmente più positive in
termini di ripresa economica. Questo ballon d’essai tirato dal premier è
allarmante; non solo perché ne conferma la scarsa dimestichezza con i
numeri, ma in quanto rivela che il taglio delle tasse sul lavoro non sta
neppure nell’anticamera del suo cervello.
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