La strage di Ustica, 40 anni fa: la battaglia nei cieli e le bugie di Stato
di Andrea Purgatori
Raccontare la strage di Ustica dopo 40 anni, un tempo infinito per i familiari delle 81 vittime che dal 27 giugno del 1980 aspettano la verità, è un po’ come fare la cronaca di una lunga e complessa corsa a ostacoli. Serve la memoria, che conta ma non basta. E non soltanto perché alla Procura di Roma c’è tuttora una inchiesta aperta per stabilire cause e responsabilità dell’esplosione di quel DC9 che volava da Bologna a Palermo in un cielo limpido ma, al contrario di quello che per decenni si sono affannati a sostenere i vertici militari dell’epoca, affollato di caccia di molte nazioni: americani, francesi, britannici e naturalmente italiani. E tutto questo in un Mediterraneo che allora era uno dei luoghi più pericolosi del pianeta. Dove si scaricavano fortissime tensioni internazionali tra i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, ma anche confronti tra nazioni.
Daria Bonfietti, dal 1988 è presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime di Ustica (Ansa) Ecco, è in questo contesto che va calata la storia della strage. In una stagione in cui l’Italia giocava su più tavoli, per interessi diversi. Basta pensare alla Libia del colonnello Muammar Gheddafi, che all’epoca era considerato il nemico numero uno dell’Occidente come poi lo sarebbero diventati Saddam Hussein e Osama Bin Laden. Nel 1980, Gheddafi possedeva il 13 per cento delle azioni della nostra industria più importante: la Fiat. Ci garantiva quasi la metà dell’energia di cui il paese aveva bisogno, tra petrolio e gas. E aveva accolto oltre ventimila lavoratori italiani, che costituivano la forza necessaria a costruire la grande Jamahiria su cui il colonnello aveva fondato la propria ambizione di leader del mondo arabo. Potevano americani e francesi tollerare che l’Italia intrattenesse rapporti tanto ambigui con Gheddafi? Certamente, no. E ce lo avevano detto esplicitamente.
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