Il codice di Mario Draghi che serviva alla nostra scuola

Ogni mossa dei vari leader, osservata in trasparenza, dal taglio dell’Iva o dell’Irpef o dell’Irap a seconda dei giorni, alle baruffe su chi candidare e dove, rivela un obiettivo a breve: il meglio per il proprio partito, o la propria corrente, al prossimo giro elettorale di metà settembre. Come se l’immane ricostruzione a cui è attesa l’Italia, con un Pil in caduta libera del 13 per cento, fosse procrastinabile di un altro po’, dopo aver rimisurato pesi e valori alla luce di un voto che sarà comunque viziato dalle angosce di una nazione, o almeno la parte chiamata ad esprimersi, che sta già toccando con mano le durezze sociali della ripartenza e che anche per questo non si sa quanto impermeabile alle lusinghe di chi le prometterà una luna che non c’è.

Ricominciamo dal diritto allo studio, costi quel che costi, whatever it takes. Doveva e poteva essere il primo messaggio di autentica rinascita. Partendo proprio dalla base, da chi è destinato per legge di natura a ereditare quel che sarà di questo Paese, cioè i bambini, i ragazzi, le famiglie, le donne di quelle famiglie che stanno supplendo un vuoto dello Stato e che, visto il vento che tira, dovranno continuare a farlo anche in autunno. Su 10 genitori che hanno già perso il lavoro, sette sono madri. E la bilancia non tenderà ad equilibrarsi, anche perché il reddito femminile incide meno sul bilancio casalingo, essendo più basso, e quindi è giocoforza il più sacrificabile.

Montano, prevedibilissime, proteste diffuse e minacce di bloccare l’inizio delle lezioni, malumori su cui la destra sta lestamente mettendo il cappello. Alla fine, si arrangerà qualche tavolo, si troverà un extra budget per tamponare le crepe più indecenti, e alla fine faremo finta che, d’accordo, non si è messo in campo «tutto quello che è necessario» ma un passettino in avanti lo si è ottenuto. E ci allineeremo ai nastri di partenza del sistema istruzione del dopo virus nella stessa posizione che occupavamo, tra i cosiddetti Paesi sviluppati, anche prima del virus: ultimi in classifica praticamente in tutte le categorie.

Una crisi di governo, con l’Europa che ci attende al varco per decidere se e quanto aiutarci, è razionalmente impensabile. Ma almeno una crisi di coscienza di chi il governo lo rappresenta, pensando alla scuola che non verrà o che verrà al minimo delle possibilità, ecco, sarebbe già un soprassalto di dignità civile. Studiare male, studiare poco, studiare peggio dei coetanei degli altri Paesi, è l’anticamera della retrocessione di una nazione. E insieme la condanna ingiusta e definitiva della generazione che, incolpevole, dovrà fare l’Italia.

CORRIERE.IT

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