Dei 44 miliardi dell’Europa usati solo 18. Perché non spendiamo questi soldi
di Ferruccio de Bortoli
Dobbiamo dare atto al ministro per il Sud di un esercizio di realismo e buona volontà. Giuseppe Provenzano appare determinato a non sprecare i fondi strutturali dell’Unione europea e a riprogrammare gli interventi cofinanziati. La prova assume un rilievo politico non trascurabile. Non solo perché si tenta di recuperare uno storico ritardo, un male persino endemico. Ma anche perché costituirà un’utile cartina di tornasole per capire come impiegheremo le risorse europee che l’Italia avrà a disposizione nei prossimi mesi.
La metafora dell’acqua: dai bacini alla periferia
La metafora più calzante, che riassume tutte le difficoltà nell’impiego dei fondi europei nel Mezzogiorno, e non solo, è stata finora quella dell’acqua immessa in un acquedotto. L’acqua deve arrivare a dissetare le aree a sviluppo più incerto e, nel caso di bisogni immediati per l’emergenza sanitaria e sociale, deve essere di uso immediato. Come l’ossigeno per i malati più gravi di Covid. Il cavallo (le imprese, le comunità) l’attende ma ce n’è poca, quando c’è. Eppure è raccolta in capienti bacini europei, cui si aggiungono quelli italiani in caso di cofinanziamento o partenariato. L’acquedotto è pieno di buchi, purtroppo non solo immaginari. E di colli di bottiglia. Sono i ritardi della burocrazia statale e regionale. Spesso gli egoismi locali sfociano in conflitti sulla proprietà dell’acqua (se scorre nel mio territorio solo io devo decidere come utilizzarla). Ciò paralizza la distribuzione, intanto il cavallo assetato deperisce. La fornitura è a scadenza e spesso ce lo si scorda.
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