Il governo litiga sugli appalti, le Semplificazioni slittano. Scontro Orlando-Bonafede

In questo clima di diffidenze incrociate ci si è messo anche il decreto Semplificazioni. Per Conte è «la madre di tutte le riforme», ma visto il groviglio di nodi irrisolti l’esame del testo è destinato a slittare ancora. Dopo lo stralcio del condono edilizio, che il premier aveva difeso sostenendo che non fosse in realtà una vera sanatoria, ieri si è litigato sugli appalti. Tanto che oggi non ci sarà il Consiglio dei ministri, bensì il solo pre-consiglio: se tutto andrà bene, perché stamattina Conte ha convocato un’altra riunione politica (la terza) per cercare un’intesa su appalti, abuso d’ufficio e danno erariale, nella speranza di licenziare il testo la prossima settimana.

Il vertice politico, assente Franceschini, si è concluso con uno scontro piuttosto acido tra Pd e 5 Stelle, già ai ferri cortissimi per il nuovo duello sulla Tav. Sul tema spinoso delle procedure e delle gare d’appalto il governo è spaccato in due. Da una parte M5S e Italia Viva, che in asse con Conte spingono per accelerare sulla via della sburocratizzazione: commissari straordinari e un elenco di opere da portare avanti in tempi record, «modello Genova». Dall’altra parte Pd e Leu, che sulle procedure sono molto più prudenti.

Per sbloccare lo stallo, al vertice il capogruppo renziano Davide Faraone pone il problema politico: «Le volete o no queste semplificazioni? Se siete contro, meglio dirlo subito». Il sottosegretario Giancarlo Cancelleri (M5S) concorda e sostiene che «è urgente sbloccare le opere perché i cittadini ce lo chiedono». Ma qui l’ex ministro Andrea Orlando, vice segretario del Pd, ricorda che «non siamo in campagna elettorale» e scatena la reazione del capo delegazione del M5S. «Se lo dite voi va bene, se lo diciamo noi è propaganda?», sbotta Alfonso Bonafede. E Orlando, seccato: «Per me la riunione può finire qui».

A quel punto Conte — descritto da chi ha preso parte al vertice come «molto silente» e «indispettito» perché i partiti gli hanno buttato sulle spalle la vicenda del mancato condono edilizio — richiama all’ordine la squadra: «Questo decreto è cruciale per la ripartenza, se vogliamo che rimetta in moto i cantieri dobbiamo crederci davvero».

L’aspetto dolente è che il Pd non sembra credere più a Conte. Tra Camera e Senato ci si esercita sui possibili «ribaltoni» e fra i dirigenti dem serpeggia una tentazione ardita. «Presentiamo una risoluzione sul Mes in aula al Senato e vediamo ci sta – azzarda un esponente del governo – Se passa, bene, altrimenti si va tutti a casa».

CORRIERE.IT

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