Ma che riforma, la riduzione dei parlamentari è un attacco alla democrazia rappresentativa

di Massimo Cacciari

Le crisi svolgono essenzialmente una funzione maieutica, la loro arte è quella della levatrice, traggono fuori da noi ciò che già in noi era in germe, maturava. Piccole o grandi sono sempre apocalissi, che significa rivelazioni: ciò che si nascondeva dietro il sipario e che ancora ci sforzavamo di ignorare, ecco ora si palesa, inaggirabile, infuggibile. Si capisce allora la formidabile idiozia dell’interrogarsi se saremo migliori, peggiori o uguali a prima. Saremo quel che siamo e il nostro operare seguirà al nostro essere; ma finalmente non potremo ignorarlo, neppure cacciando il cervello diecimila leghe sotto i mari. E riconoscendo finalmente ciò che siamo, forse riusciremo a giudicarlo e a scovare in noi qualche risorsa per affrontarlo e magari modificarlo. Sarebbe già molto se ora, per citare un autore a me caro che così parlava in un’epoca assai più tragica di questa (almeno al momento), prestassimo ascolto «a coloro che con la massima oggettività e la massima discrezione esprimono il tormento e la miseria della loro epoca».

Il presente sembra riflettere il nostro recente passato in una forma “diabolicamente” capovolta, in realtà ne mostra la vera immagine. L’epoca in cui ogni distanza deve venire meno, in cui appare intollerabile alla nostra ansia di simultaneità ogni confine spaziale, si specchia perfettamente nello slogan osceno del “social distancing”. La pandemia e l’esigenza di contrastarla non c’entrano nulla in quanto tali. Ciò che è rivelatore sono i modi in cui esse vengono narrate e gestite. L’epoca del preteso annullamento delle distanze è il grembo da cui questa, in cui siamo giunti a chiamare sociale una distanza fisica di sicurezza, si genera. Perfettamente separati lo si era anche prima: dove la distanza si annulla, si annulla la prossimità, che esige il riconoscimento dell’altro come un problema e un compito, che debbo affrontare senza poterlo mai risolvere. I “sistemi” dell’“universale conversazione” producono il più perfetto degli isolamenti. Nessuna solitudine è più profonda di quella in cui vive chi crede di comunicare perfettamente proprio grazie all’annullamento di ogni fisica prossimità. Così si edificano le fabbriche della paura. Così ci si rinserra in case inospitali e in staterelli pseudo-sovrani.

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