Coronavirus, l’infettivologo Ippolito: «Vedo pochi usare le mascherine ma è un errore, il virus circola»
I focolai sono un pericolo per l’Italia?
«Dimostrano che il virus non è morto. Sono la spia che il virus circola, anche se meno, e poiché circola dobbiamo applicare le banali misure di prevenzione che dovrebbero essere entrate nelle nostre consuetudini. Indossare la mascherina, rispettare le distanze e curare l’igiene delle mani. Bastano queste semplici precauzioni per rendere difficile la vita al virus. I focolai sono la prova che gli basta un niente per avvantaggiarsi».
Non è allarmista Giuseppe Ippolito, direttore scientifico doll’istituto Spallanzani, membro del Comitato tecnico che supporta il governo nelle azioni di contrasto al Covid 19.
L’infettivologo ha molta fiducia nelle capacità di risposta del Paese, attrezzato con i servizi di prevenzione per evitare l’espandersi dei tanti, piccoli incendi che si sono riaccesi lungo la Penisola. Non allarmista, però allarmato dalla disinvoltura di certi comportamenti sociali. «Se non fosse per i tragici eventi stenteremmo a credere che la tenuta sociale economica delle nazioni e i sistemi sanitari possano essere messi in crisi da un organismo così piccolo che per poterlo vedere è necessario un microscopio elettronico», ne misura le dimensioni nel libro scritto con Salvatore Curiale, in uscita il 16 luglio».
I focolai frutto dell’irresponsabilità individuale?
«Le
mascherine sono cadute in disuso, vedo e mi raccontano che sono troppo
spesso dimenticate, come se non servissero più. Invece restano
fondamentali. Credo che la gente abbia perso fiducia nella scienza.
Finché la comunicazione era univoca, “il virus c’è e fa male, punto”i
cittadini hanno seguito le raccomandazioni. Poi sono cominciate le
divisioni e la confusione può aver creato un rilassamento nei
comportamenti che invece sono fondamentali per tenere a bada il virus».
Nel libro, parafrasando l’allenatore Josè Mourinho, scrivete «Chi sa solo di virus, non sa niente di virus».
«Per
affrontare un’epidemia di questa portata servono molteplici competenze
che vanno ben oltre la virologia propriamente detta. Prima di tutto la
sanità pubblica, poi l’infettivologia, l’organizzazione sanitaria,
epidemiologia, sociologia, economia».
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