Ennio Morricone e la moglie Maria: «Con lei una storia lunga 70 anni: la convinsi quando era in ospedale…»
«Il cinema italiano era tutto di sinistra. L’unico film “di destra” fu quello che feci con Maurizio Liverani, il critico di Paese Sera: si chiamava “Lo sai cosa faceva Stalin alle donne?”, era una satira anticomunista. Non ebbe molto successo. Con Sergio Leone non abbiamo mai parlato di politica. “Giù la testa” però è un film politico, su terrorismo e rivoluzione».
Il suo sogno è sempre stato reinterpretare l’inno di Mameli.
L’aveva realizzato per «Cefalonia», il film per la tv sul massacro
della divisione Acqui: una versione più lenta, solenne. «Un consigliere
di Ciampi era venuto a chiedermi un parere sull’inno. Risposi che
musicalmente non vale l’inno francese, tedesco, inglese, russo; anche se
per noi ha un valore simbolico che riguarda il nostro Risorgimento. E
proposi un concorso tra compositori per scriverne uno nuovo; ma precisai
che ci sarebbero volute tre commissioni, per selezionare testi e
musiche. Non se ne fece nulla».
– Addio a Ennio Morricone
Morricone vince l’Oscar per la migliore colonna sonora e si commuove
Oscar a Ennio Morricone: le colonne sonore che hanno segnato la storia del cinema
Quando diceva: «Per il cinema faccio musica solo per Tornatore»
Con Pasolini
la collaborazione fu problematica. «Mi chiede la colonna sonora di
“Uccellacci e uccellini”. Dico no, e lui mi lascia carta bianca; mi
domanda però di inserire una citazione di Mozart, un brano del Flauto
magico. Non capisco, ma accetto. Poi per “Teorema” mi commissiona musica
dodecafonica, purché con una citazione del Requiem di Mozart. Quando
ascolta il lavoro, obietta: “Ma non c’è il Requiem!”. “Ascolta con
attenzione, c’è un clarinetto che ne accenna il motivo”. “Allora va
bene”. Capii che era una questione scaramantica; in ogni suo film doveva
esserci qualche nota classica. Non a caso, in “Accattone” c’è un
frammento di Bach».
Le parole però non potevano restituire
l’emozione di sentire Morricone provare le sue nuove musiche al
pianoforte di casa. Quando non poté proprio più sopportare il frastuono,
traslocò, lontano dal centro. Ma la sua Roma, quella di un tempo, gli mancava.
Era legatissimo alla famiglia: i figli Giovanni, Marco, Alessandra, Andrea; e la moglie Maria (cui ha dedicato parole struggenti nel necrologio che si è auto-scritto): «Ci siamo conosciuti a Roma nell’Anno Santo, il 1950. Lei è nata in Sicilia ma è venuta nella capitale a tre anni. Era amica di mia sorella Adriana. A me piacque subito moltissimo. Ma a lei io piacevo meno. Poi Maria ebbe un incidente, con la macchina di suo papà. Un attimo di distrazione, e andò a sbattere. La ingessarono dal collo alla vita, come si faceva allora. Soffriva moltissimo. Io le sono rimasto vicino. E così, giorno per giorno, goccia dopo goccia, l’ho fatta innamorare. Perché nell’amore come nell’arte la costanza è tutto. Non so se esistano il colpo di fulmine, o l’intuizione soprannaturale. So che esistono la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata. E, certo, la fedeltà. Fatto sta che ci fidanzammo. E ci sposammo il 13 ottobre 1956».
Come si fa a stare settant’anni con la stessa donna? Ora non usa più. Morricone sorrideva: «La domanda la deve fare a mia moglie; è stata bravissima lei a sopportare me. Vivere con uno che fa il mio mestiere non è facile. Attenzione militare. Orari rigorosi. Giornate intere senza vedere nessuno. Sono un tipo duro, innanzitutto con me stesso e di conseguenza con chi mi sta attorno. Altrimenti i risultati non arrivano. Il successo viene certo dal talento ma più ancora dal lavoro, dall’esperienza e, ripeto, dalla fedeltà: alla propria arte come alla propria donna. Mi sono dato la regola di dare il meglio, sempre. Anche se non sempre ci si riesce».
Quando ci lascia un grande come lui, non se ne va mai del tutto. Oggi risentiremo mille volte il «scion-scion» di «Giù la testa». Ma in moltissime canzoni italiane c’è un tocco insospettabile di Morricone. Le due «A» iniziali di «Abbronzatissima», ad esempio. O la dissonanza nell’attacco al pianoforte di «Sapore di mare». Compose anche musica contemporanea, tra cui un «Urlo» più straziante di quello di Munch. Era insomma un personaggio più complesso di quel che sembrava. Ma fino all’ultimo restò cortese e disponibile. Come tutti i veri — e rari — Grandi.
CORRIERE.IT
Pages: 1 2