C’è un governo. Salvo intese
Di “clamoroso”, l’aggettivo usato dal premier per presentare un decreto che non si sa quando approderà in Aula, c’è la totale assenza di un solo atto di governo che abbia in requisiti della certezza. Sul compendio di buone intenzioni ai limiti del velleitarismo di una rivoluzione affidata alle slide già si addensano le perplessità dei due soci di maggioranza. I Cinque stelle che lamentano le modalità dei controlli antimafia, le soglie per gli appalti, la formulazione dell’abuso d’ufficio e del danno erariale senza colpa grave. Financo il paziente ministro dell’Economia, nel corso della lunga notte ha perso le staffe di fronte all’attribuzione di una mole smisurata di poteri al Cipe, il luogo dei veti e degli appetiti, per soddisfare Fraccaro e l’ansia da centralizzazione di potere del premier. Perché, da che mondo è mondo, semplificare vuole dire decentrare, non accentrare compiti immani, dagli interventi infrastrutturali fino allo strapotere sui commissari. Commissari il cui numero è stato ridotto solo dopo lunga tenzone con i ministri del Pd: “Ma l’avete mai percorsa la Napoli-Bari – è sbottato Provenzano – dove i tratti commissariati vanno più a rilento di quelli non commissariati?”.
Quello che si è consumata nella notte di lunedì è una battaglia di fondo, non su dettagli. Una deregulation alla Berlusconi, pensando alle slide dal lato del premier. Un argine in nome delle regole, il Pd. Il risultato, finita la bombastica e interminabile conferenza stampa del premier, tesa a mostrare all’Europa come carica una pistola che spara a salve, è una sintesi politica tutta da trovare, perché fuori dal gergo del Palazzo “salvo intese” significa, tradotto per i comuni mortali, “senza intese”. Che è poi lo stesso problema della Libia: un governo come un Re nudo, quando la realtà strappa i panni del fragile velo della comunicazione: “Sono otto mesi – ha dichiarato in Aula Loredana De Petris, capogruppo di Leu – che poniamo il problema della Libia, del memorandum da discutere. Prima fate finta di niente, poi ci chiedete disciplina di maggioranza?”.
Al di là di come la si pensi sulla guardia costiera libica il dato è squadernato: non c’è una maggioranza sulla Libia, intesa come disciplina e vincolo politico prima ancora che numerico, (e alla Camera i numeri saranno ancora più eclatanti) perché non c’è una strategia sull’immigrazione: dalla Libia ai decreti sicurezza, il vero elemento di continuità tra il Conte 1 e il Conte 2, in attesa della prossima riunione in settimana già annunciata come l’ennesima fumata nera, proprio nel momento in cui l’emergenza rende urgente la regolarizzazione dei flussi migratori coniugando salute e principi di solidarietà. Quanto possa durare così è il tema di questa fase, che si consuma anch’esso nell’attesa dell’autunno elettorale del 20 settembre e dell’autunno sociale, previsto da tutti, unanimemente, come devastante, senza che nessuno abbia la forza, il coraggio, la capacità di anticipare gli eventi senza esserne travolto. Si chiama, banalmente, crisi. Perché il declino del paese, quello, non attende e non si rinvia.
L’HUFFPOST
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